CAPITOLO I
L’esistenza di Dio
ARTICOLO I. Dalla realtà mutabile all’Ente immutabile.
SOMMARIO. L’esistenza di Dio è così manifesta che difficilmente si può ignorare: 195-198. I popoli, anche senza la legge data per Mosè, constatano attraverso il creato gli attributi di Dio; tuttavia con il culto degli idoli sono diventati stolti. Ma nella loro iniquità conservano la verità: 199-201. Dalle realtà mutevoli all’Ente immutabile. La via della causalità delle cose sensibili porta alla nozione delle cose eterne: 201.204.
195. ( serm. 69 2,3). Se ne trovano pochi tanto empi che si compie nei loro riguardi ciò che sta scritto: Lo stolto ha detto nel proprio cuore: Dio non esiste 8. Questa demenza è propria di pochi. In effetti come è propria di pochi una grande pietà, così è altrettanto propria di pochi una grande empietà.
196. (En. in Ps. 87,12). Difatti, un’anima infedele può giungere a un buio [spirituale] così fitto che, divenuta stolta, dica nel suo cuore: Dio non c’è 49.
197. (In Io. ev. tr. 106,4). Infatti, in quanto è chiamato Dio di tutte le creature, questo nome non ha potuto rimanere del tutto ignorato neppure alle genti, anche prima che credessero in Cristo. Tale infatti è l’evidenza della vera divinità, che essa non può rimanere del tutto nascosta alla creatura razionale che sia ormai capace di ragionare. Fatta eccezione di pochi, nei quali la natura è troppo depravata, tutto il genere umano riconosce Dio come autore di questo mondo. E così, come creatore di questo mondo che si offre al nostro sguardo in cielo e sulla terra, Dio era noto a tutte le genti, anche prima che abbracciassero la fede di Cristo.
198. (De gen. ad litt. V 16,34). tuttavia è più vicino a noi, lui il Creatore, che non le molteplici cose fatte da lui. In lui infatti noi abbiamo la vita, il movimento e l’essere 35; la maggior parte di quelle cose, al contrario, sono lontane dal nostro spirito poiché, essendo materiali, hanno una natura diversa e il nostro spirito non è capace di vederle in Dio considerate nelle ragioni causali secondo le quali sono state fatte e perciò non possiamo conoscerne la quantità, la grandezza, la qualità pur non vedendole con i sensi del corpo.
199.(Serm. 141 1,1). Infatti scoprirono anch’essi (per quanto può essere colto dagli uomini) il creatore attraverso la creatura, il fattore attraverso la fattura, il costruttore del mondo attraverso il mondo; ne è testimone l’apostolo Paolo, al quale tutti i Cristiani sono senz’altro tenuti a credere. Riferendosi a costoro, afferma: L’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà. Queste, come riconoscete, sono parole dell’apostolo Paolo. L’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ingiustizia di uomini che recludono la verità nell’ingiustizia 2.
200. (Serm. 141,2). Ma bisognava che gli si dicesse: Com’è che quegli empi possiedono la verità? Dio ha forse parlato con qualcuno di loro? Forse che hanno ricevuto la legge come il popolo degli Israeliti per mezzo di Mosè? Come dunque possiedono la verità addirittura nella stessa ingiustizia? Ascoltate quanto segue e lo spiega. Poiché ciò che di Dio si può conoscere – dice – è loro manifesto; Dio stesso infatti lo ha loro manifestato. A quelli si manifestò, a quanti non aveva dato la legge? Si manifestò, ascolta in che modo: Le sue perfezioni invisibili possono infatti essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute. Interroga il mondo, la magnificenza del cielo, lo splendore e l’armonia degli astri, il sole rispondente alle esigenze del giorno, la luna a moderare l’oscurità della notte; interroga la terra feconda di erbe e di alberi, piena di animali, ordinata per gli uomini; interroga il mare che contiene gran quantità e varietà di animali acquatici; interroga l’atmosfera, cui conferisce vivacità un gran numero di volatili; interroga tutte le cose e vedi se, a loro modo, non ti rispondono: Dio ci ha fatti. Filosofi nobili hanno fatto di queste ricerche, e dall’opera compiuta hanno conosciuto l’Artefice. Che dunque? Per quale ragione l’ira di Dio si rivela contro ogni empietà? Perché recludono la verità nell’ingiustizia? Venga [l’Apostolo], dimostri in che modo. Ha già detto infatti come sono giunti a conoscere. Le sue, cioè di Dio, perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, anche la sua eterna potenza e divinità, perché siano inescusabili. Infatti, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria, né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa; infatti mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti 3. Ciò che scoprirono spinti dalla brama di sapere lo perdettero per superbia. Mentre si dichiaravano sapienti, cioè, attribuendo a se stessi il dono di Dio, sono diventati stolti. Ripeto, sono le parole dell’Apostolo: Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti.
201. (Serm. 141 3,3). Dimostra, prova la stoltezza di costoro. Spiega, o Apostolo, e come hai fatto capire a noi, in che modo ad essi è stato possibile giungere al concetto di Dio, poiché le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, così spiega ora in che modo mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti. Ascolta: Perché – egli afferma – hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio nella somiglianza della figura dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili 4. Infatti, della figura di questi animali i Pagani se ne fecero dèi. Tu hai trovato Dio e adori un idolo. Hai scoperto la verità ed è appunto la verità che recludi nell’ingiustizia. E per via di ciò che è esecuzione della mano dell’uomo, perdi quello che hai conosciuto attraverso le opere di Dio. Hai considerato tutto ciò che esiste; hai colto nell’insieme la disposizione ordinata del cielo, della terra, del mare e di tutti gli elementi; non vuoi fare attenzione a questo: il mondo è opera di Dio, un idolo è fattura di un artigiano. Se l’artigiano desse all’idolo anche una mente, come ha dato la forma, l’artigiano sarebbe adorato dallo stesso idolo. Infatti, o uomo, a quel modo che Dio è il tuo artefice, così l’uomo è artefice dell’idolo. Chi è il tuo Dio? Colui che ti ha formato. Chi è il Dio dell’artigiano? Colui che lo ha formato. Chi è il Dio dell’idolo? Colui che lo ha formato. Quindi, se l’idolo avesse una mente, non adorerebbe l’artigiano che lo ha formato? Ecco in quale ingiustizia hanno relegato la verità, ma non hanno trovato la via che conduceva al possesso di quella verità che avevano intravisto.
202. (Conf.XI 4). Ecco che il cielo e la terra esistono, proclamano con i loro mutamenti e variazioni la propria creazione. Ma tutto ciò che non è stato creato e tuttavia esiste, nulla ha in sé che non esistesse anche prima, poiché questo sarebbe un mutamento e una variazione. Ancora proclamano di non essersi creati da sé: “Esistiamo, per essere stati creati. Dunque non esistevamo prima di esistere, per poterci creare da noi”. La voce con cui parlano è la loro stessa evidenza. Tu dunque, Signore, li creasti, tu che sei bello, poiché sono belli; che sei buono, poiché sono buoni; che sei, poiché sono.
203. (En. in Ps. 73,25). Chi poi ha il cuore impuro non è ancora capace di abbracciare la fede né riesce a credere in ciò che non vede. ” Non vedo – dice – e allora che cosa dovrò credere “? Si vede, forse, l’anima tua? O stolto! Il tuo corpo si vede, ma chi vede la tua anima? Ebbene, siccome si vede soltanto il tuo corpo, perché non ti cacci in una tomba? Si stupisce perché gli dico: ” Se si vede soltanto il corpo, perché non ti seppellisci? “, e risponde (fin qui, infatti, ci arriva!): “Perché vivo”. ” Ma, se non vedo la tua anima, come faccio a sapere che tu vivi? Come faccio a saperlo “? Tu mi risponderai: ” Vivo perché parlo, perché cammino, perché agisco “. O sciocco! dalle opere del corpo io posso riconoscere che tu vivi; e tu dalle opere del creato non sei capace di riconoscere il Creatore?
204. (De gen. ad litt. IV 32,49). L’intelligenza umana percepisce quindi prima le creature con i sensi del corpo e se ne forma un concetto secondo la capacità dell’umana debolezza, e dopo ne ricerca le cause per quanto può arrivare ad esse che risiedono originariamente e immutabilmente nel Verbo di Dio e in tal modo arrivare a vedere con l’intelletto le invisibili perfezioni di Dio nelle opere da Lui compiute 44.
ARTICOLO II. Altri argomenti usati da Agostino per l’esistenza di Dio.
SOMMARIO. Diversi gradi di perfezione propendono per l’Ente da ogni punto di vista perfetto: 205-206. Poi adopera l’argomento cosmologico: 207. Diverte l’argomento psicologico. Penetra nell’intimità della sua mente e sopra di essa vede la luce immutabile, di molto superiore a se stesso, poiché da essa capisce di essere stato fatto. Questa è l’eterna verità, Dio stesso. Non uscire fuori di te, nell’interiore dell’uomo abita la verità: 208-210. Si espande nella considerazione della memoria, in essa trova Dio, poiché da ciò apprende come Dio resta nella sua memoria: 211-213. Ascolta la voce divina del cuore e conclude dagli effetti l’esistenza della verità: tardi ti ho amato, ti cercavo fuori e tu eri dentro: 214-215.
205. (De Trin. VIII 3,4-5). Questo è buono, quello è buono. Sopprimi il questo e il quello e contempla il bene stesso, se puoi; allora vedrai Dio, che non riceve la sua bontà da un altro bene, ma è il Bene di ogni bene….noi non potremmo dire che uno è migliore dell’altro, quando noi giudichiamo secondo verità, se non fosse impressa in noi la nozione del bene stesso, regola secondo la quale dichiariamo buona una cosa, e preferiamo una cosa ad un’altra 12….5. Non ci sarebbero dunque beni mutevoli se non ci fosse un Bene immutabile….se dunque giungerai, facendo astrazione da questi beni, a vedere il bene in se stesso, vedrai Dio.
206. (En. in Ps. 134 4). Non ci ha forse stimolati così ad approfondire la ricerca e a distinguere come ci sia chi è buono per una bontà comunicatagli da un altro buono e chi è buono per la sua propria bontà? Quanto dunque dovrà essere buono colui per cui tutte le altre cose sono buone!
207. (Conf. X 6,9). Interrogai sul mio Dio la mole dell’universo, e mi rispose: “Non sono io, ma è lui che mi fece”. Interrogai la terra, e mi rispose: “Non sono io”; la medesima confessione fecero tutte le cose che si trovano in essa. Interrogai il mare, i suoi abissi44 e i rettili con anime vive 45; e mi risposero: “Non siamo noi il tuo Dio; cerca sopra di noi”. Interrogai i soffi dell’aria, e tutto il mondo aereo con i suoi abitanti mi rispose: “Erra Anassimene, io non sono Dio”. Interrogai il cielo, il sole, la luna, le stelle: “Neppure noi siamo il Dio che cerchi”, rispondono. E dissi a tutti gli esseri che circondano le porte del mio corpo: “Parlatemi del mio Dio; se non lo siete voi, ditemi qualcosa di lui”; ed essi esclamarono a gran voce: “È lui che ci fece“46. Le mie domande erano la mia contemplazione; le loro risposte, la loro bellezza. Allora mi rivolsi a me stesso. Mi chiesi. “Tu, chi sei?”; e risposi: “Un uomo”. Dunque, eccomi fornito di un corpo e di un’anima, l’uno esteriore, l’altra interiore. A quali dei due chiedere del mio Dio, già cercato col corpo dalla terra fino al cielo, fino a dove potei inviare messaggeri, i raggi dei miei occhi? Più prezioso l’elemento interiore. A lui tutti i messaggeri del corpo riferivano, come a chi governi e giudichi, le risposte del cielo e della terra e di tutte le cose là esistenti, concordi nel dire: “Non siamo noi Dio”, e: “È lui che ci fece“. L’uomo interiore47 apprese queste cose con l’ausilio dell’esteriore; io, l’interiore, le ho apprese, io, io, lo spirito, per mezzo dei sensi del mio corpo.
208. (Conf. VII 10,16). Ammonito da quegli scritti a tornare in me stesso, entrai nell’intimo del mio cuore sotto la tua guida; e lo potei, perché divenisti il mio soccorritore 56. Vi entrai e scorsi con l’occhio della mia anima, per quanto torbido fosse, sopra l’occhio medesimo della mia anima, sopra la mia intelligenza, una luce immutabile. Non questa luce comune, visibile a ogni carne, né della stessa specie ma di potenza superiore, quale sarebbe la luce comune se splendesse molto, molto più splendida e penetrasse con la sua grandezza l’universo. Non così era quella, ma cosa diversa, molto diversa da tutte le luci di questa terra. Neppure sovrastava la mia intelligenza al modo che l’olio sovrasta l’acqua, e il cielo la terra, bensì era più in alto di me, poiché fu lei a crearmi, e io più in basso, poiché fui da lei creato. Chi conosce la verità, la conosce, e chi la conosce, conosce l’eternità. La carità la conosce. O eterna verità e vera carità e cara eternità, tu sei il mio Dio 57, a te sospiro giorno e notte 58. Quando ti conobbi la prima volta, mi sollevasti verso di te 59 per farmi vedere come vi fosse qualcosa da vedere, mentre io non potevo ancora vedere ; respingesti il mio sguardo malfermo col tuo raggio folgorante, e io tutto tremai d’amore e terrore. Mi scoprii lontano da te in una regione dissimile 60, ove mi pareva di udire la tua voce dall’alto 61: “Io sono il nutrimento degli adulti. Cresci, e mi mangerai, senza per questo trasformarmi in te, come il nutrimento della tua carne; ma tu ti trasformerai in me”. Riconobbi che hai ammaestrato l’uomo per la sua cattiveria e imputridito come ragnatela l’anima mia 62. Chiesi: “La verità è dunque un nulla, poiché non si estende nello spazio sia finito sia infinito?”; e tu mi gridasti da lontano 63: “Anzi, io sono colui che sono 64“. Queste parole udii con l’udito del cuore. Ora non avevo più motivo di dubitare. Mi sarebbe stato più facile dubitare della mia esistenza, che dell’esistenza della verità, la quale si scorge comprendendola attraverso il creato 65.
209. (De vera rel. 39,72). non uscire fuori di te, ritorna in te stesso: la verità abita nell’uomo interiore e, se troverai che la tua natura è mutevole, trascendi anche te stesso. Ma ricordati, quando trascendi te stesso, che trascendi l’anima razionale: tendi, pertanto, là dove si accende il lume stesso della ragione. A che cosa perviene infatti chi sa ben usare la ragione, se non alla verità? Non è la verità che perviene a se stessa con il ragionamento, ma è essa che cercano quanti usano la ragione. Vedi in ciò un’armonia insuperabile e fa’ in modo di essere in accordo con essa. Confessa di non essere tu ciò che è la verità, poiché essa non cerca se stessa; tu invece sei giunto ad essa non già passando da un luogo all’altro, ma cercandola con la disposizione della mente, in modo che l’uomo interiore potesse congiungersi con ciò che abita in lui non nel basso piacere della carne, ma in quello supremo dello spirito.
210. (En. in Ps. 41 7-8). Purtuttavia udendo quotidianamente dire: dov’è il tuo Dio, e nutrendomi delle mie quotidiane lacrime, di giorno e di notte ho meditato. Poiché ho udito le parole: Dov’è il Dio tuo? , ho cercato anch’io il mio Dio, per potere, non solo credergli, ma anche un po’ vederlo. Vedo infatti ciò che ha fatto il mio Dio, ma non vedo il mio Dio che ha fatto tutte queste cose. Ma poiché come il cervo anelo alle fonti delle acque ed è presso di lui la fonte della vita e per la nostra comprensione è stato scritto il salmo per i figli di Core e gli attributi invisibili di Dio si intravedono con l’intelligenza attraverso le cose create, che cosa farò, per trovare il mio Dio? Considererò la terra: la terra è stata creata. La terra è di una bellezza straordinaria; ma ha il suo artefice. Meravigliosi prodigi sono quelli del seme e delle piante che nascono, ma sono cose che hanno il loro creatore. Contemplo la grandezza del mare che mi sta intorno, mi stupisco, ammiro; cerco l’autore. Levo gli occhi al cielo e alla bellezza delle stelle; ammiro lo splendore del sole capace di illuminare il giorno, e la luna che dirada le tenebre notturne. Sono meravigliose queste cose, degne di lode, anzi degne di stupore; e neppure sono terrene, già celesti esse sono. Ma non sta qui la mia sete; tutto questo ammiro, tutto questo lodo, ma ho sete di colui che ne è l’autore. Ritorno in me stesso e vado indagando chi sia io che tali cose osservo: trovo che io ho il corpo e l’anima; questa che governa, l’altro che è governato; il corpo che serve e l’anima che comanda. Distinguo bene che l’anima è qualcosa di meglio del corpo, e vedo che è l’anima che ricerca tali cose, non il corpo; tuttavia, tutte queste cose che ho conosciuto, le ho conosciute per mezzo del corpo. Lodavo la terra che avevo conosciuto con gli occhi; lodavo il mare che avevo visto con gli occhi, il cielo, le stelle, la luna; lodavo tutte cose che avevo conosciuto con gli occhi. Gli occhi sono membra della carne, sono finestre dello spirito; nell’intimo è colui che vede per mezzo di queste finestre; quando lo spirito è assente occupato in altre cose, invano tali finestre sono aperte. Il mio Dio che ha fatto le cose, che io vedo con gli occhi, non possiamo cercarlo con questi stessi occhi della carne. Ma del resto l’animo stesso attraverso se medesimo vede qualche cosa d’altro; esaminerò ora se si tratta di qualcosa che non vedo per mezzo degli occhi come il colore o la luce; che non sento per mezzo degli orecchi come il canto e il suono; né per mezzo delle narici come la dolcezza degli odori; e neppure con il palato e la lingua come i sapori e nemmeno per mezzo di tutto il corpo come la durezza e la morbidezza, il freddo e il caldo, l’asperità e la levigatezza; vedrò nel mio intimo di che cosa si tratti. Che significa vedere nell’intimo? Significa vedere ciò che non è colore, che non è suono, che non è odore, che non è sapore, e neppure calore, o freddo, o morbidezza, o durezza. Mi si dica ad esempio quale colore ha la sapienza. Quando pensiamo alla giustizia, e ci rallegriamo di lei nell’intimo, nel pensiero stesso della sua bellezza, che cosa echeggia alle nostre orecchie? Che cosa raggiunge le nostre narici quasi fosse un olezzo? Che gusto ne prova la bocca? Che cosa palpiamo con le mani, sì da provarne piacere? Eppure nell’intimo c’è, ed è bella, si loda, e si vede; anche se gli occhi sono nelle tenebre, l’anima gode della sua luce. Che cos’è che vedeva Tobia quando dava consigli di vita, pur essendo cieco, al figlio che vedeva 13 ? C’è dunque qualcosa che l’anima stessa vede, l’anima che domina e abita nel corpo, e che non vede per mezzo degli occhi del corpo e non sente per mezzo degli orecchi, n&eac Dio. Se dicessi: Dio è mutevole, mi insulterebbero coloro che dicono: Dove è il tuo Dio?…5. Cerco dunque il mio Dio nelle cose visibili e corporali e non lo trovo; cerco la sua sostanza in me stesso, quasi fosse simile a ciò che io sono, e neppure qui lo trovo. Mi accorgo quindi che il mio Dio è qualcosa di superiore all’anima. Dunque, per conoscerlo, Su queste cose ho meditato, ed effondo al di sopra di me la mia anima. Quand’è che l’anima mia può conoscere ciò che cerca al di sopra di se stessa, se non quando si proietta al di sopra di se medesima? Se infatti restasse in se stessa, non vedrebbe niente altro che se stessa; e vedendo sé non vedrebbe certamente il suo Dio. Dicano dunque coloro che mi insultano: Dov’è il tuo Dio? Dicano pure; io finché non lo vedo, finché ritardo, mangio giorno e notte le mie lacrime. Dicano essi ancora: Dov’è il tuo Dio? Io cerco il mio Dio in ogni essere corporeo, terreno e celeste, e non lo trovo; cerco la sua sostanza nella mia anima, e non la trovo; ho meditato tuttavia sulla ricerca di Dio, e, desiderando intravvedere gli attributi invisibili del mio Dio con l’intelletto attraverso le cose create 14, effondo sopra di me l’anima mia ; e più non mi resta altro da conoscere, se non Dio stesso. Perché ivi è la dimora del mio Dio, al di sopra dell’anima mia; ivi egli abita, di lì egli mi guarda, di lì mi ha creato, di lì mi governa, di lì mi consiglia, di lì mi sollecita, di lì mi chiama, di lì mi dirige, di lì mi spinge, di lì mi trascina.
211. (Conf. X 17,26). Supererò anche questa mia facoltà, cui si dà il nome di memoria, la supererò, per protendermi verso di te, dolce lume 54. Che mi dici? Ecco, io, elevandomi per mezzo del mio spirito sino a te fisso sopra di me, supererò anche questa mia facoltà, cui si dà il nome di memoria, nell’anelito di coglierti da dove si può coglierti, e di aderire a te da dove si può aderire a te. Hanno infatti la memoria anche le bestie e gli uccelli, altrimenti non ritroverebbero i loro covi e i loro nidi e le molte altre cose ad essi abituali, poiché senza memoria non potrebbero neppure acquistare un’abitudine. Supererò, dunque, anche la memoria per cogliere Colui, che mi distinse dai quadrupedi e mi fece più sapiente dei volatili del cielo. Supererò anche la memoria, ma per trovarti dove, o vero bene, o sicura dolcezza, per trovarti dove? Trovarti fuori della mia memoria, significa averti scordato. Ma neppure potrei trovarti, se non avessi ricordo di te.
212. (ib X 24,35). Ecco quanto ho spaziato nella mia memoria alla tua ricerca, Signore; e fuori di questa non ti ho trovato. Nulla, di ciò che di te ho trovato dal giorno in cui ti conobbi,non fu un ricordo; perché dal giorno in cui ti conobbi, non ti dimenticai. Dove ho trovato la verità, là ho trovato il mio Dio, la Verità persona68; e non ho dimenticato la Verità dal giorno in cui la conobbi. Perciò dal giorno in cui ti conobbi, dimori nella mia memoria, e là ti trovo ogni volta che ti ricordo e mi delizio di te. È questa la mia santa delizia, dono della tua misericordia, che ebbe riguardo per la mia povertà69.
213. (ib X 25,36). Ma dove dimori nella mia memoria, Signore, dove vi dimori? Quale stanza ti sei fabbricato, quale santuario ti sei edificato? Hai concesso alla mia memoria l’onore di dimorarvi, ma in quale parte vi dimori? A ciò sto pensando. Cercandoti col ricordo, ho superato le zone della mia memoria che possiedono anche le bestie, poiché non ti trovavo là, fra immagini di cose corporee. Passai alle zone ove ho depositato i sentimenti del mio spiri-to, ma neppure lì ti trovai. Entrai nella sede che il mio spirito stesso possiede nella mia memoria, perché lo spirito ricorda anche se medesimo, ma neppure là tu non eri, poiché, come non sei immagine corporea né sentimento di spirito vivo, quale gioia, tristezza, desiderio, timore, ricordo, oblio e ogni altro, così non sei neppure lo spirito stesso, essendo il Signore e Dio dello spirito, e mutandosi tutte queste cose, mentre tu rimani immutabile al di sopra di tutte le cose. E ti sei degnato di abitare nella mia memoria dal giorno in cui ti conobbi! Perché cercare in quale luogo vi abiti? come se colà vi fossero luoghi. Vi abiti certamente, poiché io ti ricordo dal giorno in cui ti conobbi, e ti trovo nella memoria ogni volta che mi ricordo di te.
214. (ib, VII 10,16). Mi scoprii lontano da te in una regione dissimile 60, ove mi pareva di udire la tua voce dall’alto 61: “Io sono il nutrimento degli adulti. Cresci, e mi mangerai, senza per questo trasformarmi in te, come il nutrimento della tua carne; ma tu ti trasformerai in me”. Riconobbi che hai ammaestrato l’uomo per la sua cattiveria e imputridito come ragnatela l’anima mia 62. Chiesi: “La verità è dunque un nulla, poiché non si estende nello spazio sia finito sia infinito?”; e tu mi gridasti da lontano 63: “Anzi, io sono colui che sono 64“. Queste parole udii con l’udito del cuore. Ora non avevo più motivo di dubitare. Mi sarebbe stato più facile dubitare della mia esistenza, che dell’esistenza della verità, la quale si scorge comprendendola attraverso il creato 65.
215. (ib. X 27,38). Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai70 e ho fame e sete71; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace.
ARTICOLO III. Agostino sviluppa l’argomento dell’esistenza di Dio specialmente nel De libero arbitrio.
SOMMARIO. Fra le cose principali che Agostino ed Evodio propongono di precisare, la prima è come dimostrare l’esistenza di Dio. Poiché è la coscienza interiore che giudica i sensi esterni, essa è superiore agli altri sensi. Per lo stesso motivo la ragione è superiore alla coscienza. La Verità, che è comune a tutti, e secondo la quale si giudica tutto il resto, è superiore alla ragione. Questa Verità è il bene massimo. La quale essendo meglio di qualunque spirito creato, si Chiama Dio. Dio è la stessa verità immutabile. Dio dunque esiste: 216-224.
216. (De lib. arb. II 3,7). Ricerchiamo dunque, se vuoi, nel seguente schema: primo, come si dimostra l’esistenza di Dio; secondo, se da lui sono tutte le cose in quanto sono buone; infine, se fra le cose buone sia da porre la libera volontà.
217. ( ib. II 5,11). E. – Per quanto ricordo, si sta ancora svolgendo il primo dei tre problemi che poco fa, per stabilire, il procedimento della discussione, ci siamo proposti, cioè come si possa rendere evidente che Dio esiste, sebbene si debba credere con assoluta fermezza.
E. – Per quanto ricordo, si sta ancora svolgendo il primo dei tre problemi che poco fa, per stabilire, il procedimento della discussione, ci siamo proposti, cioè come si possa rendere evidente che Dio esiste, sebbene si debba credere con assoluta fermezza.
218. (ib. II 6,14). A. – E se si potesse scoprire un essere, di cui non puoi dubitare non solo che esiste, ma anche che è superiore al nostro pensiero, dubiteresti, a parte la sua essenza, di considerarlo Dio?
E. – Se io potessi scoprire un essere superiore a ciò che della mia natura è più perfetto, non necessariamente dovrei ammettere che è Dio. Non son d’accordo di dover considerare Dio l’essere, a cui il mio pensiero è inferiore, ma quello a cui nessun essere è superiore.
A. – Proprio così poiché egli ha concesso al tuo pensiero di pensarlo con vera religiosità. Ma, scusa, se tu scoprirai che sopra il nostro pensiero v’è soltanto l’eternamente immutabile, dubiterai ancora di considerarlo Dio? Sai infatti che i corpi sono nel divenire; ed è evidente anche che la vita stessa, da cui il corpo è animato, non è esente, attraverso vari fenomeni, dal divenire. Si dimostra inoltre che è sicuramente nel divenire il pensiero stesso che ora si muove ed ora non si muove al vero e talora lo raggiunge e talora non lo raggiunge. Dunque se il pensiero senza il sussidio dell’organo corporeo e senza la mediazione del tatto, del gusto, dell’odorato, dell’udito, della vista e altro senso, inferiore al pensiero stesso, ma da sé immediatamente intuisce un essere eterno e immutabile e ad un tempo se stesso inferiore, deve anche necessariamente ammettere che quell’essere è il suo Dio.
E. – Ammetterò che è Dio se risulterà che non v’è essere a lui superiore.
A. – D’accordo. A me basta dimostrare che esiste un essere tale che dovrai considerare come Dio, ovvero, se ve n’è uno a lui superiore, dovrai ammettere che è Dio. Quindi tanto se v’è come se non v’è un essere a lui superiore, sarà evidente che Dio esiste, quando, secondo la promessa, avrò dimostrato col suo aiuto che è superiore al pensiero.
E. – Dimostra dunque ciò che dici di aver promesso.
219. (ib. II 12,33). Perciò non puoi assolutamente affermare che non esiste la verità immutabile che comprende tutti gli oggetti che sono veri immutabilmente e non puoi dire che è tuo o mio o di un altro individuo, ma che è universalmente accessibile e si mostra, come luce mirabilmente esposta e nascosta ad un tempo, a tutti coloro che conoscono gli immutabili veri intelligibili.
220. (ib. II 12,34). Ed ora, secondo te, l’ideale verità, di cui da tempo stiamo parlando e nella cui unità intuiamo i molti intelligibili è superiore, eguale o anche inferiore alla nostra mente? Ora se fosse inferiore, non esprimeremmo giudizi mediante essa, ma su di essa, come li esprimiamo degli oggetti sensibili perché ci sono inferiori. Affermiamo appunto che hanno questa qualità o non l’hanno, ma anche che dovrebbero averla o non averla. Altrettanto del nostro carattere sappiamo non solo che è in questo modo, ma spesso anche che non dovrebbe esserlo. Ad esempio, si esprimono giudizi sui sensibili quando si dice: ” è meno candido di quanto doveva “; ovvero: ” è meno quadrato “, e così via; e del carattere: ” è meno disposto di quanto dovrebbe “, ovvero: ” meno mite “, o: ” meno dinamico “, come comporterà appunto la norma del nostro costume. E si esprime il giudizio mediante le regole interiori della ideale verità che universalmente si intuiscono, ma di esse non si giudica assolutamente. Quando qualcuno dice infatti che le cose eterne sono più degne delle temporali e che sette più tre fanno dieci, non dice che così doveva essere, ma conoscendo che così è, non trasforma da arbitro, ma si allieta come scopritore. Se poi l’ideale verità fosse eguale alla nostra mente, anche essa sarebbe nel divenire. La nostra mente ora la intuisce di più ed ora di meno. Palesa così di essere nel divenire. Al contrario l’ideale verità, permanendo in sé, non aumenta quando ci si manifesta di più, non diminuisce quando ci si manifesta di meno, ma integra e immateriale, allieta di luce quelli che ad essa si volgono, punisce con la cecità quelli che si volgono in opposta direzione. E che dire, dal momento che mediante essa giudichiamo della nostra stessa mente mentre non possiamo affatto giudicare di essa? Si dice infatti: ” Pensa di meno di quanto deve “, ovvero: ” Pensa tanto quanto deve “. La mente deve appunto tanto più pensare quanto più si avvicina all’immutabile verità. Pertanto se essa non è inferiore ed eguale, rimane che sia eminentemente superiore.
221. (ib. II 15,39). Tu avevi ammesso che se avessi dimostrato l’esistenza di un essere sopra alla nostra intelligenza, avresti riconosciuto che è Dio, se non ve n’è un altro superiore. Accogliendo questa tua dichiarazione, avevo affermato che potevo dimostrarlo per apodissi. Se infatti v’è un essere superiore, questi è Dio, se non v’è, la stessa verità è Dio. Dunque tanto se v’è, come se non v’è, non potrai negare che Dio esiste. Questo era il problema propostoci da discutere e sciogliere.
222. (De div. quaest. 83 q.54). Noi chiamiamo Dio ciò che è migliore di ogni anima: a lui è unito chiunque lo comprende….Ora l’anima razionale comprende Dio. Capisce infatti che è immutabile e non subisce alcun mutamento….Quando dunque l’anima comprende qualcosa d’immutabile, comprende senza dubbio Dio: è la stessa Verità. Poiché l’anima razionale si unisce a lui con l’intelligenza, e questo è bene per l’anima, a ragione si comprende che questo è il senso di quanto è stato detto: Il mio bene è stare vicino a Dio 43.
223. (De vera rel. 30,56). Ma, dal momento che questa legge di tutte le arti è assolutamente immutabile, mentre la mente umana, cui è stato concesso di coglierla, è esposta alla mutabilità dell’errore, è abbastanza chiaro che tale legge, che si chiama verità, è al di sopra della nostra mente.
224. (ib. 31,57). Né si può mettere in dubbio che la natura immutabile, che è al di sopra dell’anima razionale, sia Dio e che dove si trovano la prima vita e la prima essenza là si trova anche la prima sapienza. Questa infatti è la verità immutabile che, a buon diritto, è detta legge di tutte le arti e arte dell’artefice onnipotente.
ARTICOLO IV. La conoscenza di Dio in questa vita, anche se ricchissima, rimane però oscura.
SOMMARIO. La teoria della illuminazione divina. Punti che creano difficoltà: 225-230. Tuttavia essa è capace di mediare m9olti aspetti della conoscenza di Dio. Adesso vediamo come in uno specchio. Dice Agostino che i concetti delle cose eterne si deducono per via della causalità dalle cose sensibili, e che questa dottrina non è ontologica: 231-236. Come si differenzia la conoscenza dell’uomo e dell’angelo: 237. La conoscenza di Dio in questa vita, anche se pienissima, rimane tuttavia nell’ombra, e Dio non lo possiamo vedere con le sue specificità, ma soltanto con la fede: 238-241. Agostino ha forse intuito che Mosè e San Paolo abbiano potuto vedere Dio nella sua stessa essenza?: 242-243.
225. (Conf. XII 25,35). Se entrambi vediamo la verità della tua asserzione ed entrambi vediamo la verità della mia, dove la vediamo, di grazia? Certo non io in te, né tu in me, ma entrambi proprio nella verità immutabile, che sta sopra le nostre intelligenze.
226. (De Trin. IX 7,12). Dunque in quella eterna verità, secondo la quale sono state create tutte le cose temporali, vediamo, con lo sguardo dello spirito, la forma che è il modello del nostro essere, e di quanto facciamo in noi o nei corpi, quando agiamo secondo la vera e retta ragione; e la conoscenza vera che grazie ad essa noi concepiamo l’abbiamo come verbo presso di noi, un verbo che generiamo dicendolo al di dentro di noi e che nascendo non si separa da noi.
227. (De civ. Dei VIII 7). I platonici invece, e per questo li riteniamo superiori agli altri, hanno distinto l’oggetto della intelligenza da quello della sensazione senza sottrarre ai sensi la loro capacità e senza assegnarne loro al di là delle loro possibilità.
228. (De Trin XII 2.2). Ma è compito della ragione superiore il giudicare di queste cose corporee, secondo le leggi incorporee ed eterne. Se queste non fossero al di sopra dello spirito umano, certamente non sarebbero immutabili; ma se esse non avessero alcun legame con quella parte di noi stessi che è loro sottomessa, non potremmo, in base ad esse, giudicare delle realtà corporee 2.
229. (In Io ev. tr. 35,3). Ora, come gli occhi, che abbiamo in faccia e che chiamiamo luci, anche quando sono sani e aperti hanno bisogno della luce che viene dall’esterno – sottraendo o mancando la quale, benché sani e aperti, non vedono -, così la nostra mente, che è l’occhio dell’anima, se non viene irradiata dalla luce della verità e non viene prodigiosamente rischiarata da colui che illumina senza dover essere illuminato, non potrà pervenire né alla sapienza né alla giustizia.
230. (Sol. I 8,15). Ed ora dietro il mio insegnamento apprendi, per quanto la situazione attuale lo richiede, dalla somiglianza con i sensibili qualche cosa intorno a Dio. Dio è intelligibile, intelligibili sono anche i principi delle discipline, tuttavia con notevoli differenze. Difatti visibili sono tanto le qualità corporee quanto la luce, male qualità corporee non possono esser vedute se non sono illuminate dalla luce. Quindi si deve ritenere che anche i concetti relativi alle scienze, che chiunque intende ritiene assolutamente veri, non possono essere intesi se non vengono illuminati, per così dire, da un proprio sole. Pertanto allo stesso modo che in questo sole si possono rilevare tre cose: che esiste, che splende, che illumina, così in Dio ineffabile, che tu vuoi conoscere, sono in certo senso tre principi: che esiste, che è essere intelligibile e che rende intelligibili tutte le altre cose.
231. (De vera rel. 52,101). Anzi, sollecitati da quel che giudichiamo ad esaminare la norma in base a cui giudichiamo e spinti dalle opere delle arti a considerare le leggi delle arti stesse, con la mente contempleremo quella bellezza a confronto della quale sono brutte quelle cose che, grazie ad essa, sono belle. Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le perfezioni invisibili di Dio possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità 128.
232. (C. Adim. 28,2). La terza specie di visione avviene attraverso una percezione dello spirito, per mezzo della quale vengono contemplate con l’intelletto la verità e la sapienza; senza quest’ultima, le altre due di cui ho detto prima o risultano infruttuose o traggono in errore. Allorché infatti per effetto della volontà divina le cose vengono mostrate sia ai sensi corporei sia a quella parte dell’anima che percepisce le immagini delle cose corporee, allora sì che la rivelazione è perfetta quando le cose sono percepite non solo da questi sensi, ma sono concepite anche dallo spirito. Di questa terza specie è quella visione che ho ricordato citando l’Apostolo: Infatti dalla creazione del mondo, le perfezioni invisibili di Dio possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute 224.
233. (De Trin XV 8,14). So che la sapienza è una sostanza immateriale, che essa è una luce in cui si vede ciò che non si vede con gli occhi della carne; e tuttavia quell’uomo così eminente e così spirituale dice: Vediamo ora attraverso uno specchio, in enigma, allora a faccia a faccia 78. Se ci chiediamo quale sia e che cosa sia questo specchio, il primo pensiero che ci viene in mente è certamente quello che nello specchio non si vede che un’immagine. Ci siamo dunque sforzati, a partire da questa immagine che siamo noi, di vedere in qualche modo, come in uno specchio, Colui che ci ha fatti. È questo il senso di quest’altra espressione dello stesso Apostolo: Noi che a faccia svelata comprendiamo come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nella stessa immagine, salendo di gloria in gloria, come ad opera dello spirito del Signore 79. Chiama speculantes coloro che contemplano in uno specchio (speculum), non coloro che guardano da un posto di osservazione (de specula). Il testo greco, dal quale sono state tradotte le Lettere dell’Apostolo, non presenta alcuna ambiguità al riguardo. In greco infatti la parola che significa specchio, in cui appaiono le immagini delle cose, è totalmente diversa, anche per il suono, dalla parola che significa “specola” dall’alto della quale lo sguardo si estende più lontano ed appare sufficientemente chiaro che l’Apostolo ha derivato da specchio e non da specola la parola speculantes, quando dice che contempliamo come in uno specchio (speculantes) la gloria di Dio.
234. (ib. XV 23,44). Ma questa Trinità, che non è soltanto immateriale, ma anche supremamente inseparabile e veramente immutabile, quando verrà la visione a faccia a faccia che ci è promessa, la vedremo con molta maggiore chiarezza e certezza di quanto ora vediamo la sua immagine che noi siamo. Tuttavia coloro che vedono attraverso questo specchio e in questo enigma 271, come ci è concesso di vedere in questa vita, non sono coloro che percepiscono nel loro spirito queste tre potenze che abbiamo indicato nella nostra analisi, ma coloro che vedono il loro spirito come immagine, in modo da poter riferire ciò che vedono, in qualunque sia maniera, a colui di cui il loro spirito è immagine ed in modo da poter vedere, per congettura per mezzo dell’immagine che vedono contemplandola, Dio, perché non possono ancora vederlo a faccia a faccia. Infatti l’Apostolo non dice: “vediamo ora uno specchio”, ma invece: “Vediamo attraverso uno specchio“.
235. (ib. XV 24). Coloro dunque che vedono il loro spirito, come è possibile vederlo, ed in esso vedono questa trinità circa la quale ho discusso, come ho potuto, con molte analisi, ma che non credono e non comprendono 272 che essa è l’immagine di Dio, vedono lo specchio, ma tanto poco vedono colui che deve essere ora veduto nello specchio da non sapere nemmeno che lo specchio è uno specchio, ossia l’immagine di lui.
236. (De gen. ad litt. IV 32,49). L’intelligenza umana percepisce quindi prima le creature con i sensi del corpo e se ne forma un concetto secondo la capacità dell’umana debolezza, e dopo ne ricerca le cause per quanto può arrivare ad esse che risiedono originariamente e immutabilmente nel Verbo di Dio e in tal modo arrivare a vedere con l’intelletto le invisibili perfezioni di Dio nelle opere da Lui compiute 44. Con quanta lentezza e difficoltà vi riesca e con quanto tempo a causa del corpo corruttibile che aggrava l’anima 45, anche se è trascinata dal più ardente desiderio a far ciò con insistenza e con perseveranza, chi l’ignora? L’intelligenza angelica, al contrario, essendo unita al Verbo di Dio in virtù di pura carità, dopo essere stata creata secondo la gerarchia per cui doveva precedere tutte le altre creature, vide nel Verbo di Dio le cose, che dovevano essere create, prima che fossero create; in questo modo le cose furono fatte originariamente nella conoscenza angelica allorché Dio ordinò ch’esistessero, prima che fossero costituite nella loro propria natura; appena fatte l’angelo le conobbe ugualmente anche in se stesse, per mezzo d’una conoscenza certamente inferiore chiamata “sera”.
237. (ib. IV 23.40, 23.41). C’è senza dubbio una gran differenza tra la conoscenza di qualunque essere nel Verbo di Dio e la conoscenza dello stesso essere nella sua propria natura, al punto che l’una può esser paragonata giustamente al giorno e l’altra alla notte. Poiché, a paragone della luce contemplata nel Verbo di Dio, ogni conoscenza, in virtù della quale conosciamo qualunque creatura in se stessa, può con ragione chiamarsi notte;…41. Dalle precedenti considerazioni deriva quanto segue: gli angeli santi, ai quali saremo uguali dopo la risurrezione 38, se seguiremo fino alla fine la via – cioè il Cristo che s’è fatto via per noi – contemplano sempre il volto di Dio e godono del Verbo, suo unico Figlio in quanto è uguale al Padre; inoltre in essi fu creata, prima di tutte le creature, la sapienza; ecco perché senza dubbio conoscono tutto il mondo creato – in cui proprio essi sono i primi esseri creati – dapprima nel Verbo di Dio, in cui sono le ragioni eterne di tutte le cose create – anche di quelle temporali – come in Colui per mezzo del quale sono state create tutte le cose; essi poi hanno questa conoscenza nella stessa creazione, ch’essi conoscono guardandola nel Verbo, nella cui verità immutabile vedono, come esseri creati al principio, le ragioni in base alle quali è stata fatta una creatura.
238. (Sol. I 7,14). Ma fintantoché l’anima è in questo corpo, anche se vede con pienezza, cioè conosce Dio con puro pensiero, i sensi ancora compiono la loro funzione. E sebbene essi di per sé non inducano nell’errore, possono tuttavia generare dei dubbi.
239. (Ep. 147 3). Ne consegue che non vediamo Dio con gli occhi corporei come vediamo i corpi celesti o terrestri; tanto meno lo vediamo con gli occhi dell’intelligenza, come vediamo alcune di quelle cose prima ricordate, che tu contempli con certezza in te stessa. Ma allora perché mai crediamo che Dio può essere visto, se non perché crediamo e prestiamo fede alla Sacra Scrittura in cui si legge: Beati i mondi di cuore, perché essi vedranno Dio 7 ?
240. (En. in Ps. 134 5). Ma torniamo a noi: riconosciamo in noi la sua presenza e nella creatura lodiamo l’Artefice, dal momento che non siamo in grado di contemplarlo in se stesso. Un giorno saremo capaci, è vero, di contemplarlo: quando il nostro cuore, purificato dalla fede, potrà alla fine bearsi della Verità. Ma adesso, non essendoci consentito di vedere lui personalmente, osserviamo le sue opere per non rimanere muti nella sua lode.
241. (In Io. ev. tr. 110 4). Ma qui, siccome parla della vita beata, è da intendere la conoscenza quale si avrà nella visione, non quella che abbiamo ora mediante la fede….Infatti finché crediamo ciò che non vediamo, non siamo ancora così perfetti nell’unità, come lo saremo quando ci sarà concesso di vedere ciò che crediamo.
242. (De gen. ad litt. XII 26,54). Lì si vede la gloria del Signore, non mediante una visione simbolica o corporale, come fu vista [da Mosè] sul monte Sinai 52, né mediante una visione spirituale come la vide Isaia 53 o Giovanni nell’ Apocalisse 54, ma per mezzo d’una visione diretta, nella misura ch’è capace di percepirla l’anima umana mediante la grazia di Dio che la eleva a sé, per parlare da bocca a bocca a colui ch’egli ha reso degno d’un siffatto colloquio parlandogli non con la bocca del corpo ma con la bocca della mente.
243. (Ep. 147 13,31). Un’altra difficoltà può essere questa:’ come mai la sostanza di Dio possa essere stata vista da qualche persona durante la vita terrena, a causa di quanto fu detto a Mosè: Nessuno può vedere il mio volto e vivere 88, salvo che si ammetta che la mente umana possa essere rapita da questa vita a quella angelica per volontà di Dio prima di separarsi dal corpo per mezzo della morte, comune a tutti i mortali. In questo modo infatti fu rapito (in paradiso) Paolo, il quale udì parole arcane che nessuno può proferire 89,… Un’altra difficoltà può essere questa:’ come mai la sostanza di Dio possa essere stata vista da qualche persona durante la vita terrena, a causa di quanto fu detto a Mosè: Nessuno può vedere il mio volto e vivere 88, salvo che si ammetta che la mente umana possa essere rapita da questa vita a quella angelica per volontà di Dio prima di separarsi dal corpo per mezzo della morte, comune a tutti i mortali. In questo modo infatti fu rapito (in paradiso) Paolo, il quale udì parole arcane che nessuno può proferire 89,
CAPITOLO II
L’essenza di Dio.
SOMMARIO. Ciò che Dio non è. Dio è più facilmente pensato che descritto. L’infinità di Dio non può essere capita: 244-247. Chi sia Dio in nessun modo possiamo capirlo, tuttavia chi evita di coltivare cose indegne di Dio compie molti progressi: 248-249. La divina essenza non può essere spiegata soprattutto in ragione del proprio preciso nome: Qui est. “Dio è” si è chiamato, perché è immutabile. Così che in paragone a lui le cose create sono un nulla. Dio è se stesso, l’Essere: 250-253. Quanto è meraviglioso Dio: 253-254.
244. (Ep. 120 3,13). Del resto non è davvero un piccolo inizio nella conoscenza di Dio se, prima di poter conoscere che cosa egli sia, cominciamo a sapere che cosa egli non è.
245. (En. in Ps. 85 12). Stia attenta la vostra Carità! Dio è ineffabile; più facilmente diciamo ciò che non è, anziché ciò che è. Pensi alla terra: Dio non è questo! Pensi al mare: Dio non è questo! Pensi a tutte le cose che sono sulla terra, agli uomini e agli animali: Dio non è questo! A tutte le cose che sono in mare o che volano nell’aria: Dio non è questo! A ciò che splende nel cielo, alle stelle, al sole, alla luna: Dio non è questo! Pensi al cielo: Dio non è questo! Pensi agli angeli, alle Virtù, alle Potestà, agli Arcangeli, ai Troni, alle Sedi, alle Dominazioni: Dio non è questo! E che cosa è? Questo solo ho potuto dire: ciò che non è. Mi chiedi che cosa è? Ciò che occhio non ha visto, né orecchio ha udito, né è penetrato in cuore d’uomo 45.
246. (De Trin. VII 4,7). Quando si tratta di Dio il pensiero è più vero della parola e la realtà più vera del pensiero.
247. (Serm. 117 3,5). E’ di Dio, infatti, che parliamo. E’ stato affermato: E il Verbo era Dio 6. Dal momento che parliamo di Dio, che meraviglia se non comprendi? In verità, se comprendi, non è Dio. Piuttosto si riconosca umilmente di non capire, invece di fare una temeraria professione di scienza. Raggiungere Dio appena un poco con il pensiero è una grande beatitudine; quanto a comprenderlo, invece, è assolutamente impossibile.
248. (In Io. ev. tr. 23 9). Se non potete comprendere chi è Dio, comprendete almeno che cosa non è. E’ già tanto non avere di Dio un’idea sbagliata. Non sei ancora arrivato a sapere chi è Dio? Renditi conto almeno di ciò che non è.
249. (De Trin. V 1,2). Concepiamo dunque Dio, se possiamo, per quanto lo possiamo, buono senza qualità, grande senza quantità, creatore senza necessità, al primo posto senza collocazione, contenente tutte le cose ma senza esteriorità, tutto presente dappertutto senza luogo 3, sempiterno senza tempo, autore delle cose mutevoli pur restando assolutamente immutabile ed estraneo ad ogni passività. Chiunque concepisce Dio a questo modo, sebbene non possa ancora scoprire perfettamente ciò che è, evita almeno con pia diligenza, per quanto può, di attribuirgli ciò che non è 4.
250. (En in Ps 101, s. 2,10). L’aveva domandato non per curiosità o presunzione, ma per necessaria esigenza del suo stesso servizio. Che cosa risponderò – disse – ai figli d’Israele, se mi chiederanno: Chi ti ha mandato a noi? Ed il Signore, presentandosi come creatore alla creatura, come Dio all’uomo, come l’immortale al mortale, come l’eterno al temporale, rispose: Io sono colui che sono. Anche tu potresti rispondere: Io sono. Chi sei? Caio. Un altro potrebbe dire: Sono Lucio; un altro ancora: Sono Marco. Ma potresti aggiungere altro? No, solamente il tuo nome. Questo era quel che Mosè si aspettava da Dio, perché proprio questo gli aveva domandato: come ti chiami? Da chi dirò che sono stato mandato per rispondere a coloro che me lo domanderanno? Io sono. E chi? Colui che sono. Questo dunque è il tuo nome? Tutto questo per dire come ti chiami? Ed avresti tu per nome proprio l’essere, se tutto quanto è al di fuori di te non si rivelasse realmente, confrontato con te, come non essere? Sì, questo è il tuo nome, ma devi esprimerlo in maniera più chiara. Va’ – egli dice – e di’ ai figli d’Israele: Colui che è mi ha mandato a voi. Io sono colui che sono: Colui che è mi ha mandato a voi. Grande, davvero grande questo È! Di fronte ad esso che cos’è l’uomo? Di fronte a quel grande È – dico – che cosa è l’uomo, per quanto sia e valga?
251. (Serm. 6 3-4). Dice dunque Dio a Mosè…Io sono Colui che sono: mi ha mandato Colui che è. Chiedendo egli come si chiamasse Dio, gli fu risposto: Io sono Colui che sono. E dirai ai figli di Israele: Colui che è mi ha mandato a voi 10.Che significa? O Dio, o Signore nostro, come ti chiami? Mi chiamo “è”, disse. Che significa: “Mi chiamo è”? Che rimango in eterno, che non posso mutare. Le cose che mutano non sono, perché non rimangono. Ciò che è rimane. Ciò che muta fu qualcosa e sarà qualcosa, ma non è, perché è mutevole. Perciò l’immutabilità di Dio si è degnata chiamarsi con questo nome: Io sono Colui che sono 11.
252. (In Io. ev. tr. 38,10). C’è qualcosa, di quanto hai fatto, che non è? Forse che il cielo non è? forse che la terra non è? Non sono forse le cose che stanno in terra e in cielo? Forse che l’uomo stesso, al quale tu parli, non è? Non è l’angelo, che tu mandi? Se sono, tutte queste cose che per mezzo di te sono state create, che cos’è l’essere stesso che ti sei riservato come tuo proprio, che non hai dato ad altri sì che tu solo veramente sei? Quando ascolto: Sono colui che sono, debbo forse pensare che le altre cose non esistono?
253. (Conf. 1,4). Cosa sei dunque, Dio mio? Cos’altro, di grazia, se non il Signore Dio? Chi è invero signore all’infuori del Signore, chi Dio all’infuori del nostro Dio? 13.O sommo, ottimo, potentissimo, onnipotentissimo, misericordiosissimo e giustissimo, remotissimo e presentissimo, bellissimo e fortissimo, stabile e inafferrabile, immutabile che tutto muti, mai nuovo mai decrepito, rinnovatore di ogni cosa 14, che a loro insaputa porti isuperbi alla decrepitezza 15;sempre attivo sempre quieto, che raccogli senza bisogno; che porti e riempi e serbi, che crei e nutri e maturi, che cerchi mentre nulla ti manca. Ami ma senza smaniare, sei geloso 16 e tranquillo, ti penti 17 ma senza soffrire, ti adiri 18 e sei calmo, muti le opere ma non il disegno, ricuperi quanto trovi e mai perdesti; mai indigente, godi dei guadagni; mai avaro, esigi gli interessi 19; ti si presta 20 per averti debitore, ma chi ha qualcosa, che non sia tua? Paghi i debiti senza dovere a nessuno, li condoni senza perdere nulla. Che ho mai detto, Dio mio, vita mia, dolcezza mia santa? Che dice mai chi parla di te? Eppure sventurati coloroche tacciono di te, poiché sono muti ciarlieri 21.
254. (Serm. 384,1). Tanti e tali eterni doni celesti il Signore onnipotente ha preparato ai suoi santi popoli fedeli di tutto il mondo; ma chi è Dio stesso che li ha disposti per noi? Di lui diciamo solo che non lo sappiamo misurare né esprimere né comprendere, che è al di là di tutto, al di fuori, al di sopra. Supera ogni sua creatura, è al di là delle sue opere, sta al di sopra di tutto. Potrei cercare di esprimere la sua grandezza, ma lui è più grande, la sua bellezza, ma lui è più bello. Egli è più dolce di ogni dolcezza, più fulgido di ogni splendore, più giusto di ogni giustizia, più forte di ogni fortezza, più mite di ogni mitezza. La ragione non ammette che la creatura si pretenda uguale al suo Creatore né che l’opera prodotta sia posta al pari di Colui che l’ha prodotta. Così appunto leggiamo nel profeta: Egli sorpassa in potenza le cose potenti che ha fatto, sorpassa in bellezza le cose belle di cui è l’autore 3.
CAPITOLO III
Gli attributi divini
Articolo i. Gli attributi divini in genere.
SOMMARIO. Gli attributi divini realmente si identificano tra loro e con l’essenza. Poiché Dio non è perfetto per partecipazione, ma + la stessa perfezione. Tutto viene definito della natura di Dio secondo la sostanza e non secondo gli accidenti: 255-257. Definizione analogica di Dio e delle creature. Le definizioni comuni vanno capite da altre ragioni. Che cosa si intende quando, per esempio, si dice che Dio si arrabbia, ha misericordia, si pente: 258-261.
255. (De Trin. XV 5.7). Si esprime dunque una sola e medesima cosa, sia che si dica che Dio è eterno, sia che si dica che è immortale, che è incorruttibile, che è immutabile; similmente quando si dice che è vivente, e intelligente o, che è lo stesso, sapiente, si dice la medesima cosa. Dio infatti non ha ricevuto una sapienza che lo abbia reso sapiente, ma egli stesso è la sapienza.
256. (ib. V 10,11). Dunque, come non diciamo tre essenze, così non diciamo tre grandezze, né tre grandi. Infatti nelle cose che sono grandi per partecipazione alla grandezza e per le quali essere ed essere grandi non è la stessa cosa, come: una grande casa, una grande montagna, un grande spirito; in queste cose altro è la grandezza, altro ciò che la grandezza rende grande;… Dio non è grande di una grandezza che sia altra cosa che Lui stesso, come se Dio ad essa partecipasse per essere grande….Perciò Egli è grande di quella grandezza che fa di Lui la stessa grandezza. Perciò, come non diciamo tre essenze, così non diciamo tre grandezze, perché per Dio essere è la stessa cosa che essere grande. Per la stessa ragione non diciamo tre grandi, ma un solo grande, perché Dio non è grande per la partecipazione alla grandezza, ma è grande perché è Lui stesso grande, dato che egli è la sua stessa grandezza. Altrettanto si deve dire della bontà, dell’eternità, dell’onnipotenza, di tutti i predicamenti che si possono applicare a Dio e che abbiano significato assoluto e si applichino in senso proprio, non figurato e metaforico; ammesso però che la bocca dell’uomo possa dire di Lui qualcosa in senso proprio.
257. (In Io. ev. tr. 20,4). In Dio, al contrario, la natura, in virtù della quale egli è, non è distinta dalla potenza in virtù della quale egli opera. Tutto ciò che egli ha, come tutto ciò che egli è, è in lui consustanziale, appunto perché Dio e il suo essere Dio non è in lui una cosa distinta dal suo potere, ma s’identificano in lui l’essere e il potere così come s’identificano il volere e il fare.
258. ( En 2 in Ps. 26,8). Si elevi il vostro cuore sopra tutte le cose usuali, superi la riflessione tutti i vostri consueti pensieri nati dalla carne, frutto dei sensi carnali, e che immaginano non so quali fantasie. Rigettate tutto dall’animo, impedite l’accesso a tutto quel che vi viene alla mente; conoscete la debolezza del vostro cuore, e nel momento in cui si presenta qualcosa che siete in grado di pensare, dite: Non è questo, perché, se fosse questo, non mi sarebbe venuto alla mente così.
259. ( De div. quaest. ad Simpl,. q.II 2,3). È lungo registrare le altre espressioni – sono innumerevoli – con le quali si dimostra che molte cose divine hanno lo stesso nome delle umane, sebbene siano separate da una distanza incomparabile. Eppure non è inutile riferire gli stessi vocaboli alle une e alle altre, perché queste espressioni conosciute, che si ritrovano nell’uso quotidiano e sono notificate dalla pratica più consueta, offrono una via ad intendere le verità più sublimi. Infatti quando avrò eliminato dalla scienza umana la mutabilità e quei passaggi transitori da un pensiero all’altro e ci sforziamo di cogliere con la mente ciò che poco prima era nascosto e così passiamo da una rappresentazione all’altra con frequenti atti di memoria – il che fa dire all’Apostolo che la nostra conoscenza è parziale 64 -: quando dunque avrò eliminato tutte queste imperfezioni e avrò sprigionato la vitalità unica della verità certa e inalterabile che intuisce tutto con uno sguardo unico ed eterno, o meglio non l’avrò isolata, perché questo sorpassa la scienza umana, ma l’avrò pensata secondo le mie forze, allora mi si disvela in qualche modo la scienza di Dio. Ecco perché questo nome, dal fatto che mediante la conoscenza una cosa cessa di essere nascosta all’uomo, ha potuto essere applicato comunemente a entrambi [a Dio e all’uomo]…. È lungo registrare le altre espressioni – sono innumerevoli – con le quali si dimostra che molte cose divine hanno lo stesso nome delle umane, sebbene siano separate da una distanza incomparabile. Eppure non è inutile riferire gli stessi vocaboli alle une e alle altre, perché queste espressioni conosciute, che si ritrovano nell’uso quotidiano e sono notificate dalla pratica più consueta, offrono una via ad intendere le verità più sublimi. Infatti quando avrò eliminato dalla scienza umana la mutabilità e quei passaggi transitori da un pensiero all’altro e ci sforziamo di cogliere con la mente ciò che poco prima era nascosto e così passiamo da una rappresentazione all’altra con frequenti atti di memoria – il che fa dire all’Apostolo che la nostra conoscenza è parziale 64 -: quando dunque avrò eliminato tutte queste imperfezioni e avrò sprigionato la vitalità unica della verità certa e inalterabile che intuisce tutto con uno sguardo unico ed eterno, o meglio non l’avrò isolata, perché questo sorpassa la scienza umana, ma l’avrò pensata secondo le mie forze, allora mi si disvela in qualche modo la scienza di Dio. Ecco perché questo nome, dal fatto che mediante la conoscenza una cosa cessa di essere nascosta all’uomo, ha potuto essere applicato comunemente a entrambi [a Dio e all’uomo].
260. (C. adv. leg. et proph. I 20,40). Dio non si pente come l’uomo, ma come Dio; allo stesso modo non si adira come l’uomo, né come l’uomo prova compassione, né come l’uomo prova invidia, ma tutto ciò fa come Dio. Il pentimento di Dio non avviene in seguito ad un errore; l’ira di Dio non ha l’ardore di un animo sconvolto; la misericordia di Dio non comporta la miseria di un cuore che prova compassione – proprio da miseria del cuore infatti la misericordia in latino prende il suo nome -, né la gelosia di Dio contiene il livore dell’animo. Viene detto pentimento di Dio il cambiamento, imprevisto dagli uomini, delle cose che sono regolate dal suo potere; l’ira di Dio è la punizione del peccato, la misericordia di Dio è la sua bontà nell’aiutare e nel perdonare; la gelosia di Dio è la provvidenza in virtù della quale Dio non permette che quanti sono suoi sudditi amino impunemente ciò che egli proibisce….Dunque quando diciamo di Dio che si pente, Dio non si muta, e tuttavia muta; così quando si adira, non si sconvolge, eppure punisce; e quando prova compassione non si addolora, e tuttavia libera; e quando prova gelosia non prova tormento, ma tormenta.
261. (De div. quaest. ad Simpl. q. II 2,4). Perciò, quando leggiamo che anche Dio dice: Mi pento 67, dobbiamo considerare che cosa di solito comporti negli uomini il fatto di pentirsi. Si riscontra senz’altro la volontà di cambiare; ma nell’uomo si accompagna al dolore dell’animo, perché rimprovera a se stesso di aver agito temerariamente. Eliminiamo quindi queste imperfezioni derivanti dall’infermità e ignoranza umana e rimanga solo la volontà di non lasciare più le cose com’erano prima, così potremo far penetrare un pochino nel nostro spirito in che senso bisogna intendere il pentimento di Dio. Quando infatti si dice che Dio si pente, manifesta la volontà che una cosa non sia più quella che aveva fatto che fosse; ma che tuttavia, quand’era così, doveva essere così e ora, perché non le si permette di restare tale, non deve più essere così, secondo il giudizio eterno, tranquillo e giusto con cui Dio ordina con volontà immutabile tutte le cose mutevoli.
ARTICOLO II. Colui che semplicemente “è”, immutabile deve essere.
264. Colui che semplicemente “è”, deve essere immutabile: 265-267. In Dio si dice abusivamente sostanza, propriamente essenza. Tuttavia che si dica sostanza oppure essenza, si dice “ad se” e non relativamente “ad aliquid”: 268. Do non cambia volontà, ma cambia le cose che vuole. Dio non si affeziona, perché chi si affeziona agisce per passione, e chi agisce per passione cambia. Per ogni opera nuova usa il consiglio SOMMARIO. Perciò Dio è semplice perché quello che ha, è. La Trinità delle persone non fa ostacolo alla divinità: 262-eterno. Riposando agisce e agendo riposa. Che si dica che Dio “si pente, si arrabbia”, non cambia l’immutabilità divina: 269-274.
262. (Ep 169 2,7). E’ molteplice poiché ha molte virtù, ma è semplice poiché sussiste solo per quello che ha, come è detto che il Figlio ha la vita in sé stesso 24 ed è egli stesso la vita 25.
263. ( De Trin XV 13). Perché nella mirabile semplicità di quella natura non sono cose diverse essere sapiente ed essere; ma è la stessa cosa essere sapiente ed essere, come lo abbiamo spesso ripetuto nei libri precedenti 153.
264. (De civ. Dei XI 10) E questa Trinità è un solo Dio, ma non perché è Trinità, non è semplice. E non diciamo semplice l’essenza dell’essere buono nel senso che in essa vi è soltanto il Padre o soltanto il Figlio o soltanto lo Spirito Santo o anche che è soltanto una Trinità di nome, senza la sussistenza delle persone, come pensavano gli eretici Sabelliani, ma si considera semplice perché in lei essere ed avere si identificano, salvo che le persone si dicono in senso relativo l’una dell’altra.
265. (Serm. 7,7). Era dunque un angelo, e nell’angelo il Signore rispondeva a Mosè che gli chiedeva il proprio nome: Io sono Colui che sono. Questo dirai ai figli di Israele: Colui che è mi ha mandato a voi 26. Essere è nome indicante immutabilità. Tutto ciò che muta termina di essere quello che era e comincia ad essere quello che non era. L’essere è. Il vero essere, il genuino essere, il puro essere non ce l’ha se non chi non muta.
266. (In Io.ev. tr.38,10). qualunque cosa, per eccellente che sia, se è soggetta a mutamento, non si può dire che veramente è; poiché non esiste il vero essere dove esiste anche il non essere….Tutto ciò che può cambiare, una volta cambiato non è più ciò che era; e se non è più ciò che era, lì è intervenuta come una morte; lì è venuto meno qualcosa che c’era e non c’è più. E’ morto il nero sul capo dell’uomo canuto, è morta la bellezza nel corpo del vecchio stanco e curvo, sono morte le forze nel corpo che languisce, è morta la immobilità nel corpo di chi cammina, è morto il movimento nel corpo di chi sta fermo, sono morti il moto e la posizione eretta di chi sta sdraiato, è morta la parola sulla lingua che tace. Tutto ciò che muta, è ciò che non era: e vedo una certa vita in ciò che è, e morte in ciò che fu. Del resto, quando di uno che è morto si chiede: dov’è il tale? si risponde che “fu”. O Verità, che sola veramente sei! Poiché in tutte le nostre azioni e in tutti i nostri movimenti, e in ogni cambiamento delle creature si distinguono due tempi: il passato e il futuro. Cerco il presente, nulla sta fermo: ciò che ho detto già non è più; ciò che sto per dire non è ancora; ciò che ho fatto non è più; ciò che sto per fare non è ancora; la vita che ho vissuto non è più; quella che sto per vivere non è ancora. In ogni movimento delle cose trovo passato e futuro; nella verità che permane non trovo né passato né futuro ma soltanto il presente, un presente incorruttibile, quale non si trova in nessuna creatura. Esamina i cambiamenti delle cose, troverai “fu” e “sarà”; pensa a Dio e troverai che egli “è”, e che in lui non può esserci né “fu” né “sarà”.
267. (De civ. Dei VIII 6). In lui infatti non sono diversi l’esistere e il vivere perché non può esistere senza vivere, non sono diversi il vivere e il pensare perché non può vivere senza pensare, non sono diversi il pensare e l’essere felice perché non può pensare senza esser felice ma ciò che per lui è il vivere, il pensare e l’esser felice è per lui il suo esistere. I platonici compresero che per questa sua non soggezione al divenire e alla molteplicità egli ha creato tutte le cose e che è impossibile la sua dipendenza nell’essere da un altro.
268. (De Trin. VII 5,10). Sono dunque le cose mutevoli e composte che si chiamano propriamente sostanze. Ma, se Dio sussiste in modo da poter essere detto propriamente sostanza, qualcosa esiste in lui come in soggetto, e non è l’essere semplice per il quale essere è identico a qualsiasi altro attributo che si applica a lui in senso assoluto, come grande, onnipotente, buono ed ogni altro attributo degno di lui. Ora è proibito affermare che Dio sussista e sia soggetto della sua bontà; è proibito affermare che questa bontà non sia sostanza, o piuttosto essenza, e che Dio non sia la sua bontà, ma che al contrario la bontà esista in lui come in un soggetto. Perciò è chiaro che Dio si chiama sostanza in senso improprio, per far intendere con un nome più corrente che è essenza, termine giusto e proprio, al punto che forse solo Dio si deve chiamare essenza. Infatti lui solo “è” veramente, perché è immutabile, e con questo nome ha designato se stesso al suo servitore Mosè, quando gli disse: lo sono colui che sono, e: Dirai a loro: Colui che è mi ha mandato a voi 62. Tuttavia lo si chiami essenza 63, termine proprio, o sostanza 64, termine improprio, ambedue questi termini sono assoluti, non relativi 65. Perciò per Dio essere è la stessa cosa che sussistere,
269. (C. adv. leg.. et proph. II 11,37). (Ipse Deus)…che ha mutato le cose che ha voluto senza mutare la sua volontà240.
270. (De Trin. V 16,17). Gli appellativi di origine temporale che si applicano a Dio e che prima non si predicavano in lui, hanno chiaramente un senso relativo, ma non indicano degli accidenti in Dio come se qualche cosa gli accadesse, ma indicano gli accidenti dell’essere in rapporto al quale Dio riceve un nome relativo nuovo. Ancora, per il fatto che l’amico di Dio 68 comincia ad essere giusto, muta. Ma quanto a Dio non sogniamoci neppure di pensare che egli ami qualcuno nel tempo, quasi si trattasse di un amore nuovo che in lui prima non c’era; in lui per il quale il passato non passa ed il futuro esiste già. Perché tutti i suoi santi li ha amati prima della creazione del mondo 69, come li ha anche predestinati, ma quando si convertono e lo incontrano, si dice che cominciano ad essere amati da lui, per parlare in modo accessibile alla nostra comprensione. Allo stesso modo quando si dice che è irritato con i cattivi e amabile con i buoni, sono essi che cambiano, non lui. Egli è come la luce: insopportabile agli occhi malati, gradevole ai sani. Ma sono gli occhi che cambiano, non la luce.
271.(De civ. Dei XII 17,2). Noi non dobbiamo ritenere che Dio si trovi in una condizione quando è in riposo e in un’altra quando è in attività. È perfino inconcepibile che sia condizionato, come se nel suo essere si verifichi qualche cosa che prima non c’era. Chi è condizionato infatti subisce una modificazione e ogni essere che subisce una modificazione è nel divenire. Nel suo riposo dunque non si devono ravvisare pigrizia, ozio, inerzia, come nella sua attività lavoro, sforzo, fatica. Sa agire nel riposo e riposare nell’azione. Può applicare ad un’opera nuova una determinazione non nuova ma eterna e non ha cominciato a fare ciò che non aveva fatto perché si è pentito di essere stato anteriormente in riposo. Ma supponiamo che fosse prima in riposo e poi in attività, anche se io non so come questi concetti siano accessibili al pensiero umano. Ovviamente le nozioni del prima e del poi si riferirono alle cose che prima non esistevano e poi sono esistite. In Dio al contrario non si ebbe un volere successivo che mutò o sostituì il volere antecedente, ma un solo medesimo eterno immutabile atto della volontà fece sì che le cose create non esistessero finché non esistettero e che poi esistessero quando cominciarono ad esistere. Mostrò così a coloro che potevano conoscere queste verità, rivelandole forse con un intervento straordinario, che non aveva bisogno delle cose ma che le aveva create per disinteressata bontà, giacché anche senza di esse era rimasto in una felicità non minore da un’eternità senza inizio.
272. (Enchir. 10,33). Quando però si parla della collera di Dio, non s’intende un suo turbamento, come è nell’anima di un uomo che va in collera;
273. (En. in Ps. 105 32). E si adirò di furore il Signore contro il suo popolo. Alcuni nostri traduttori non hanno voluto mettere la parola ira, dove il testo greco usa ; alcuni hanno messo la parola mente, altri hanno tradotto indignazione ed altri ancora animo. Ma quale che sia il termine qui preferito, è certo che in Dio non esiste passione, e solo per un’abituale metafora questo nome designa il potere vendicativo.
274. (De civ. Dei XVII 7,3). Nei passi in cui si legge che si pente viene indicato il divenire delle cose mentre la prescienza divina rimane fuori del divenire. Dove dunque si dice che non si pente, s’intende che non è nel divenire.
ARTICOLO III .Dio è tutto ovunque e tutto in se stesso.
SOMMARIO. Non si può dire che Dio sia in qualche luogo. Perciò Dio non è in un luogo ma è ovunque: 275.279. Dio è diffuso ovunque non per qualità o per quantità, ma secondo la sostanza, tuttavia non per massa diffusa. E’ tutto ovunque e tutto in se stesso: 280-282. E’ ovunque come presenza della divinità, e non dappertutto per grazia di presenza (abitazione). Anche in quelli in cui abita, non ugualmente vi abita: 283-284. Prima che Dio creasse il cielo o i santi, abitava in se stesso: 285. Dio abitando contiene e non è contenuto: 286. Che dire della presenza di Cristo: 287. Immaginando l’immensità di Dio, evitiamo ogni antropomorfismo: 288-289.
275. (De quant. an. 34,77). è difficile, dire dove è, e più difficile dove non è,
276. (De div. quaest. 83 20). Dio non è in un luogo. Infatti ciò che si trova in un luogo è racchiuso dal luogo e ciò che è racchiuso dal luogo è corpo. Ora Dio non è corpo: dunque non si trova in un luogo. E tuttavia, poiché è e non è in un luogo, in lui sono tutte le cose piuttosto che lui in qualche luogo. Le cose però non sono in lui come se egli fosse un luogo, perché il luogo è nello spazio, che è occupato dalla lunghezza, dalla larghezza e dall’altezza del corpo. Dio non è nulla di tutto questo. Eppure tutte le cose sono in lui ed egli non è un luogo. Tuttavia solo abusivamente si dice che il luogo di Dio è il tempio di Dio, non perché vi è contenuto, ma perché egli è presente. Ora non si può concepire un tempio migliore dell’anima pura.
277. (De civ. Dei XVI 5). Si legge nella Scrittura: Il Signore discese a vedere la città e la torre che avevano edificato i figli degli uomini,… Dio non si muove nello spazio perché è tutto fuori del tempo e dello spazio, ma si dice che discende quando realizza nel mondo qualche effetto che, essendo realizzato fuori del normale procedimento della natura, mostra per analogia la presenza di Dio.
278. (Conf. V 2). Evidentemente ignorano che tu sei dovunque e nessun luogo ti racchiude, che tu solo sei vicino anche a chi si pone lontano da te.
279. (Conf. VI 3,4). Tu, altissimo 19e vicinissimo, remotissimo e presentissimo, non fornito di membra più grandi e più piccole, ma esistente per intero in ogni luogo e in nessuno,
280. (Serm. 277 13,13). Dio non si vede in un luogo, Dio non si vede parte per parte, Dio non si vede esteso negli spazi e in diversi momenti. Sebbene riempia il cielo e la terra, non è che sia per metà in cielo e per metà in terra. Questa atmosfera, infatti, se occupa cielo e terra, non ha pure sulla terra quella parte di sé che si trova in cielo. Anche l’acqua, qualunque cosa riempia, in realtà riempie lo spazio che la contiene, ma per una metà si trova in uno spazio corrispondente, per l’altra metà è nell’altra metà di spazio, tutta nell’intero spazio. Dio non ha nulla di simile a questo. Non dubitarne affatto, poiché Dio non è un corpo. Essere diffusi nello spazio, circoscritti in luoghi, comprendere due parti, tre, quattro, tutte, è proprio dei corpi. Nulla di tutto questo è Dio, perché Dio è dovunque tutto; non si trova per metà in una parte e per metà altrove, ma è dovunque tutto. Riempie il cielo e la terra ma è tutto in cielo e tutto in terra.
281. (Ep. 187 4,14). Dio è dunque presente dappertutto, poiché egli stesso dice per bocca del profeta Geremia: Io riempio il cielo e la terra 30, come afferma pure l’espressione da me citata poco prima riguardo alla sua sapienza: Arriva da un capo all’altro dell’universo con la sua forza e governa con dolcezza ogni cosa 31. Così pure sta scritto: Lo Spirito del Signore riempie l’universo 32. A lui inoltre in un Salmo viene detto: Dove potrei fuggire dal tuo spirito e dove nascondermi dal tuo cospetto? Se anche salissi nei cieli, ivi tu sei; se scendessi nell’abisso, lì pure tu sei 33. Dio però è presente in tutte le cose in modo da essere non una qualità del mondo, ma la sostanza creatrice del mondo, che lo governa senza fatica e lo abbraccia senza sentir peso, senz’essere tuttavia, per così dire, estesa con la sua massa negli spazi fisici, sì da essere per metà nella metà del corpo del mondo e per l’altra metà nell’altra metà e così intero solo nel mondo intero; ma intero nel cielo e nella terra presi ciascuno a se, e nello stesso tempo nel cielo e nella terra senz’essere contenuto in nessun luogo, ma intero dappertutto in se stesso.
282. (ib. 6,18). Come mai, infatti, Dio è dovunque se lo è ” in se stesso “? Naturalmente è dappertutto perché non è assente da alcun luogo; ” in se stesso ” invece perché non è contenuto dalle cose in cui è presente come se non potesse esistere senza di esse. Se ai corpi si toglie lo spazio fisico, essi non saranno in alcun luogo; e poiché non sono in alcun luogo, non esisteranno neppure….Iddio, al contrario, non è più piccolo anche se è contenuto in misura minore da colui nel quale egli è presente, poiché è tutto intero in se stesso e, in coloro in cui abita, non esiste in modo che abbia bisogno di essi come se non potesse sussistere senza di essi. Inoltre, allo stesso modo che Dio non è lontano neppure dalla persona in cui non abita, e vi è presente per intero, quantunque essa non lo possegga, così Dio è presente per intero anche nella persona in cui abita, quantunque essa non lo contenga totalmente.
283. (ib 5,16). Ma ciò che desta molto maggiore meraviglia è il fatto che Dio, pur essendo intero in ogni luogo, tuttavia non abita in tutti gli uomini….Perciò si deve ammettere che Dio è dappertutto con la presenza della divinità, ma non dappertutto con la grazia con cui abita nelle anime.
284. (ib. 5,17). Orbene, Dio che è dappertutto eppure non abita in tutti, non abita neppure in modo uguale in coloro nei quali egli abita. Perché, per esempio, Eliseo avrebbe chiesto che lo Spirito che era in Elia fosse in lui in misura due volte maggiore 41? E perché fra tutti i Santi vi sono alcuni più santi degli altri se non perché Dio abita in essi in misura più abbondante? In qual modo dunque è vero quanto abbiamo affermato più sopra, che cioè Dio è intero dappertutto, dal momento che è presente in alcuni in misura maggiore e in altri in misura minore? Ma deve considerarsi attentamente quanto abbiamo detto prima, che cioè Dio è intero dappertutto in se stesso, non perciò nelle cose che lo contengono alcune in misura maggiore, altre in misura minore. Si dice che egli è dappertutto, per il motivo che non è assente in alcuna parte delle cose, ch’egli è intero ovunque per il motivo che non rende una parte di sè presente ad una parte delle cose, e a un’altra parte delle cose l’altra parte di se stesso, parti uguali a parti uguali cioè minore per una minore e maggiore per una maggiore, ma è presente per intero non solo a tutto il creato ma nello stesso tempo anche a qualunque parte di esso.
285. (En. in Ps. 122,4). Se al contrario noi volessimo identificare l’abitazione di Dio col cielo materiale che vediamo con gli occhi del corpo, dovremmo dire che Dio ha una dimora di durata limitata, poiché il cielo e la terra passeranno 15 . E poi, prima che creasse il cielo e la terra, dove abitava Dio? Ma qualcuno potrebbe obiettare: ” E prima che creasse i santi dove abitava Dio? ” Dio abitava in se stesso, abitava con se stesso; poiché Dio è con sé, e quando si degna d’abitare nei santi, non bisogna intendere che i santi sono la dimora di Dio nel senso che, sottraendosi quella casa, Dio cada. Diverso è infatti il modo come noi abitiamo in una casa e il modo come Dio abita nei santi. Tu abiti nella casa in una maniera che, se ti si leva la casa, tu finisci per terra; Dio al contrario abita nei santi in una maniera che, se si allontana da loro, non lui ma i santi precipitano in terra. Chiunque pertanto reca Dio con sé a modo di tempio non pensi che Dio, mentre si lascia portare, si lasci anche impaurire qualora l’uomo volesse scappargli via. Guai piuttosto a quest’uomo se Dio gli si allontana! Egli cadrà inevitabilmente, mentre Dio rimarrà sempre nella sua immutabilità. Le case in cui noi abitiamo son loro a contenerci; quanto a Dio invece, egli abita in noi e nello stesso tempo ci contiene. Notate dunque la profonda differenza fra il modo come abitiamo noi e quello come abita Dio. E quando l’anima dice: Io ho elevato i miei occhi a te che abiti nel cielo, lodica convinta che non è Dio che ha bisogno del cielo per abitarvi, ma piuttosto che è il cielo ad aver bisogno di Dio che ne faccia la sua dimora.
286. (Serm. 342,3). Dove era la vera luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo con la sua anima razionale? Era nel mondo. Ma anche la terra e il sole e la luna erano nel mondo….Era qui in modo tale da esserci anche prima che ci fosse il mondo, non perché quasi non avesse il posto dove stare. Dio infatti abitando contiene, non è contenuto. Così egli era nel mondo in un modo stupefacente, in un modo che non si può esprimere.
287. (Ep. 187 3,10). Non bisogna credere che Cristo sia presente dovunque a causa di questa natura. Dobbiamo cioèguardarci dall’affermare la divinità dell’uomo in modo da negare la verità del corpo. Non è però logico che ciò ch’è in Dio sia dovunque come lo è Dio. Così, per esempio, la Sacra Scrittura, che è sommamente veridica, afferma che in lui noi viviamo, ci muoviamo e siamo 29, eppure non siamo dappertutto come lui; ma in modo diverso è in Dio l’uomo Cristo, poiché anch’egli come Dio è diversamente nell’uomo, cioè in un modo del tutto proprio e singolare, poiché l’Uomo-Dio è un’unica persona e tutte e due le nature formano un unico Cristo Gesù, il quale è dappertutto perché è Dio ed è in cielo perché è uomo.
288. (ib. 187 4,11). Tuttavia, quando affermiamo che Dio è esteso dappertutto, dobbiamo respingere l’immaginazione dei sensi e distogliere la nostra mente dai sensi fisici, per evitare d’immaginare che Dio sia esteso dappertutto come una grande massa limitata dallo spazio, come è estesa la terra, l’acqua, l’aria o la luce percepita dai nostri sensi, poiché qualsiasi grandezza di tale genere, considerata in una sua parte, è minore dell’intero. Dio invece dobbiamo immaginarlo esteso piuttosto come lo è una gran sapienza anche in una persona di piccola corporatura. Così nel caso di due individui sapienti di cui uno sia più grande di corporatura, ma nessuno dei due più sapiente dell’altro, la sapienza non sarà maggiore nell’individuo più grande e minore nel più piccolo, oppure minore in uno solo che in tutt’e due, ma tanta nell’uno quanta nell’altro e tanta in ciascuno dei due quanta in ambedue. Infatti nell’ipotesi che siano sapienti in misura del tutto identica, tutt’e due presi insieme non sono più sapienti di quanto lo siano presi singolarmente; allo stesso modo che, se sono ugualmente immortali tutti e due, non hanno una vita più lunga di quella che ha ciascuno di essi.
289. (En. 2 in Ps. 30,7). Dio però non china il suo orecchio verso di noi quasi in uno spazio materiale, e non è assoggettato a queste limitate membra corporee. L’immaginazione umana non pensi assolutamente niente di questo genere. Dio è Verità. E la Verità non è quadrata, né rotonda, né lunga. Ovunque è presente, se l’occhio del cuore è aperto a lei.
ARTICOLO IV. L’eternità di Dio.
SOMMARIO. Il tempo non è il moto del corpo, la la misurazione del movimento dei corpi. Nell’eternità nessuna mutazione: 290-292. Dio non cominciò ad esistere. Dio è semplicemente eterno poiché immutabile. Dio precede ogni passato e supera ogni futuro: 293-ò297. In Dio non c’è un “fu” né un “sarà” ma soltanto un “è”: 298-300.
290.(De civ. Dei XII 15,2). Infatti se non esiste una creatura, dal cui divenire nel movimento si svolga il tempo, non è possibile in senso assoluto che si abbia il tempo.
291. (Conf. XI 24,31). Mi comandi di approvare chi dicesse che il tempo è il movimento di un corpo? No certo. Nessun corpo si muove fuori dal tempo; questo lo intendo: tu lo dici. Ma che il movimento stesso del corpo sia il tempo, questo non lo intendo: tu non lo dici. Di un corpo che si muove, misuro col tempo la durata del movimento, da quando inizia a quando finisce. Se non ho visto quando iniziò, e continua a muoversi di modo che non vedo quando finisce, mi è impossibile misurarlo, a meno di misurarlo da quando inizio a quando finisco di vederlo. Vedendolo a lungo, riferisco soltanto che è un tempo lungo, senza riferire quanto, poiché, per dire anche quanto, facciamo un confronto, ad esempio: “Questo è quanto quello”, oppure: “Questo è doppio di quello”, e così via. Se invece avremo potuto rilevare nello spazio il punto da cui è partito e il punto in cui arriva un corpo in movimento, oppure le sue parti, qualora si muova come un tornio, possiamo dire in quanto tempo si è effettuato il movimento del corpo o di una sua parte da un punto a un altro. Il movimento del corpo è dunque cosa distinta dalla misura della sua durata. E chi non capisce ormai a quale delle due nozioni conviene dare il nome di tempo?
292. (De civ. Dei XI 6). È logico distinguere eternità e tempo, poiché non si ha il tempo senza un qualche divenire del movimento, nell’eternità al contrario non si ha divenire. Chi non capisce dunque che non si avrebbe il tempo se non fosse prodotta la creatura per porre la realtà nel divenire di un determinato movimento?
293. (C. adv. leg. et proph. I 2,2). Domanda quindi: ” Di quale principio si tratta? Di quello in cui Dio stesso cominciò ad essere o di quello in cui si tediò del fatto d’essere inoperoso? “. A tali domande si deve rispondere: Dio non ha cominciato ad essere, né si è tediato della sua solitudine: è sempre esistito e non illanguidisce quando riposa né si affatica quando opera, e quando il cielo ancora non c’era non mancava di una sede, né ha ottenuto la sede solo dopo aver creato il cielo quasi fosse un viandante al termine delle sue peregrinazioni.
294. (De div. quaest. 83 q.19). Ciò che non muta è eterno, perché permane sempre nello stesso modo. Invece ciò che muta è soggetto al tempo, perché non permane sempre nello stesso modo. Di conseguenza non è giusto dirlo eterno. Infatti ciò che cambia non permane: ciò che non permane non è eterno.
295. (Conf. XI 13,16). Ma non è nel tempo che tu precedi i tempi. Altrimenti non li precederesti tutti. E tu precedi tutti i tempi passati dalla vetta della tua eternità sempre presente; superi tutti i futuri, perché ora sono futuri, e dopo giunti saranno passati. Tu invece sei sempre il medesimo, e i tuoi anni non finiscono mai 74. Ituoi anni non vanno né vengono; invece questi, i nostri, vanno e vengono, affinché tutti possano venire. I tuoi anni sono tutti insieme, perché sono stabili; non se ne vanno, eliminati dai venienti, perché non passano. Invece questi, i nostri, saranno tutti quando tutti non saranno più. I tuoi anni sono un giorno solo 75, e il tuo giorno non è ogni giorno, ma oggi, perché il tuo oggi non cede al domani, come non è successo all’ieri. Il tuo oggi è l’eternità….Tu creasti tutti i tempi, e prima di tutti i tempi tu sei, e senza alcun tempo non vi era tempo.
296. ( Serm. 215,2). Egli non cresce nel tempo, non si distende nello spazio, non è chiuso o limitato in nessuna materia, ma rimane presso di sé e in sé piena e perfetta eternità che mente umana non può comprendere né lingua esprimere.
297. (En. in Ps. 134,6). Egli infatti esiste ed esiste veramente<, ora l’esistere veramente comporta di per se stesso un esistente senza inizio e senza fine.
298. (ib 101,10). Gli anni di Dio non sono altro che lui stesso; ma gli anni di Dio sono l’eternità di Dio: l’eternità è la stessa sostanza di Dio, chi non ha nitente di mutabile: Lì niente è passato, quasi nosi sia più; niente è futuro quasi non sia ancora. Lì non c’è se non, E’: lì non c’è , Fu e Sarà: perché anche quello che fu, già non è: e quello che sarà, non è; ma qualunque cosa vi sia, è. (Trad. Sartirana)
299. (ib. 9,11). Invece nella natura di Dio, non c’è nulla che ” sarà “, come se ancora non fosse; o che ” fu “, quasi che ora non sia più; c’è soltanto ciò che è, e questo appunto è l’eternità.
300. (In Io. ev. tr. 38,10). In ogni movimento delle cose trovo passato e futuro; nella verità che permane non trovo né passato né futuro ma soltanto il presente, un presente incorruttibile, quale non si trova in nessuna creatura. Esamina i cambiamenti delle cose, troverai “fu” e “sarà”; pensa a Dio e troverai che egli “è”, e che in lui non può esserci né “fu” né “sarà”.
CAPITOLO IV
Dio con la sua presenza vede il passato e il futuro.
SOMMARIO. La scienza divina è la stessa sostanza che individua oggetti intelleggibili. Dio vede senza mutazione il passato, il presente e il futuro: 301-304. Il sapere di Dio è così ampio che tutto è presente in lui in modo ineffabile, prima ancora che esista: 305. Specialmente se si tratta dei futuri liberi. Cicerone, per salvare la libertà della volontà, negò la prescienza di Dio: 306. L’argomento di Cicerone viene esposto da Agostino: 307. Risposta di Agostino: 308. Dio previde quello che i protoparenti avrebbero fatto di male, previde anche quello che avrebbe fatto lui di bene come conseguenza del male fatto da loro: 309. Dio conosce anche i futuri condizionatamente liberi: 310-311. Contro i Pelagiani Agostino nega che Dio usi la scienza dei futuri condizionati per premiare o per castigare: 312-313. Si dice che Dio non conosca qualche cosa o perché non l’approva o perché non conviene diffondere l’informazione: 314.
301. (In Io. ev. tr. 99,4). E perciò la sostanza della nostra anima non è propriamente semplice, in quanto per lei l’essere non coincide col conoscere, potendo essere e non conoscere. Mentre non è così della sostanza divina, la quale è ciò che ha, e possiede la scienza in modo tale che ciò che essa sa non si distingue da ciò che è: ambedue le cose, l’essere e il sapere sono, nella sostanza divina, la stessa cosa. Anzi, neppure possiamo parlare di due cose, dove non ce n’è che una.
302. (Conf. XIII 16,19). Come tu solo pienamente sei, così tu solo conosci, tu, che sei immutabilmente e conosci immutabilmente e vuoi immutabilmente. Il tuo essere conosce e vuole immutabilmente, la tua conoscenza è e vuole immutabilmente, la tua volontà è e conosce immutabilmente.
303. (De Trin. VI 10,11). In essa c’è la vita primale e suprema, per la quale vivere non è diverso dall’essere, ma la stessa cosa è l’essere e il vivere. In essa vi è l’intelligenza prima e suprema per la quale non è diverso vivere e intendere, ma intendere è vivere, è essere tutt’uno 50. Essa è come un verbo perfetto, cui nulla manchi, una specie di arte di Dio onnipotente e sapiente, piena di tutte le ragioni immutabili degli esseri viventi: tutte in essa sono un’unica cosa, come essa è qualcosa d’uno che ha origine dall’Uno con il quale è una sola cosa. In essa Dio conosce tutto ciò che ha fatto per mezzo di essa e così, mentre i tempi passano e si succedono, niente passa e niente si succede nella scienza di Dio.
304. (De civ. Dei XI 21). Dio non ha certamente appreso che l’opera è un bene quando è stata fatta al punto che nessuna di esse sarebbe stata fatta se gli fosse rimasta sconosciuta. Mentre dunque vede che è un bene, e non sarebbe fatta se non l’avesse visto prima che fosse fatta, insegna, non apprende che è un bene….Platone ha osato dire di più, che Dio, cioè, ha esultato di gioia nel portare a compimento l’universo. E nel dirlo non sragionava al punto da ritenere che Dio fosse stato reso più felice dalla novità della sua opera. Volle mostrare invece che l’ideatore si compiacque dell’opera già fatta, perché se ne era compiaciuto nell’idea quando era da farsi e non perché la scienza di Dio possa in qualche modo cambiare, sicché costituiscano un oggetto diverso le cose che saranno, quelle che sono e quelle che furono. Egli non guarda in avanti, come facciamo noi, il futuro, non guarda nell’immediato il presente, non guarda dietro a sé il passato, ma con un atto molto diverso in tutti i sensi dalla norma dei nostri pensieri. Egli non conosce variando il pensiero da un oggetto a un altro ma senza alcun cambiamento, nel senso che si rappresenta in un presente eternamente stabile tutte le cose nel tempo, le future che non sono ancora, le presenti che già sono, le passate che non sono più. E non conosce in una maniera con la vista e in un’altra con l’intelligenza perché non è formato di anima e di corpo, e neanche in una maniera adesso, in un’altra prima e in un’altra dopo.
305. (En in Ps 49,18). Non osiamo neppur chiedere: in qual modo conosce Dio? Fratelli, non aspettatevi dunque da me che io vi spieghi in qual modo Dio conosce; questo solo vi dico: non conosce come l’uomo, non conosce come l’angelo; non oso dire in qual modo conosce, perché non posso neppure saperlo. Tuttavia una cosa so, che Dio conosceva ciò che avrebbe creato, prima che esistessero tutti gli uccelli del cielo. Che cosa è questa conoscenza?… Donde Dio conosceva ciò che ordinava alle acque di produrre? Certamente conosceva ciò che creava, e lo conosceva prima ancora di crearlo. Tanto grande dunque è la conoscenza di Dio, che in lui vi sono in un certo ineffabile modo le cose prima ancora di essere create; e come può aspettar di ricevere da te ciò che aveva prima ancora di crearlo?… In qual modo è con lui?… Con lui sono tutte le cose costituite nel Verbo, in una certa conoscenza della ineffabile Sapienza di Dio, e tutte le cose sono il Verbo stesso….E perché tutte le cose sono presso di lui? Perché tutte le cose, prima di esistere e prima di essere create, gli erano note.
306. (De civ. Dei V 9 1.2). Cicerone polemizza contro gli stoici con la convinzione che non addurrebbe prove valide contro di loro se non eliminasse la divinazione. E tenta di eliminarla così da negare la conoscenza del futuro e da sostenere con tutte le forze che è assolutamente impossibile sia nell’uomo che in Dio: non vi può essere nessuna predizione delle cose. Nega così la prescienza di Dio e cerca di demolire ogni profezia anche se evidentissima con vuote argomentazioni e col rilevare le contraddizioni di alcuni oracoli che è facile respingere. Tuttavia neanche di essi ha dato una vera confutazione. Nel respingere le supposizioni degli astrologi il suo discorso riceve autorità dalla considerazione che esse sono tali che si eliminano e confutano da sé. Ma coloro che ammettono per lo meno destini stellari sono più sopportabili di lui che esclude la prescienza del futuro. È evidente mancanza di intelligenza ammettere l’esistenza di Dio e negarne la prescienza del futuro. Essendosene accorto pure lui, saggiò perfino l’argomento di quel verso della Scrittura che dice: Ha detto lo sciocco in cuor suo: Dio non esiste 15, ma non come propria personale teoria….E, come sembra, tutto il suo impegno consiste nel non ammettere il destino per non negare la libera volontà. Pensa infatti che data la premessa della conoscenza del futuro si ha la conclusione assolutamente innegabile dell’esistenza del destino….Ed egli da uomo eccellente e dotto,… fra le due cose scelse il libero arbitrio della volontà; e per affermarlo negò la prescienza del futuro e così per rendere gli uomini liberi, li ha resi miscredenti.
307. (ib. V 9,2). se si dà l’arbitrio della volontà, non tutto avviene fatalmente; se non tutto avviene fatalmente, non è determinata la serie di tutte le cause; se non è determinata la serie di tutte le cause, neanche la serie degli avvenimenti è determinata nella prescienza di Dio, non tutti gli avvenimenti si verificano senza una causa precedente ed efficace; se la serie degli avvenimenti non è determinata nella prescienza di Dio, non tutti gli eventi avvengono come egli ha conosciuto per prescienza che si verificheranno; quindi se non tutti gli eventi si verificano come egli ha conosciuto per prescienza che si verificheranno, non v’è, conclude Cicerone, in Dio la prescienza di tutti gli eventi futuri 19.
308. (ib. 9 3.4). Noi contro queste sacrileghe ed empie affermazioni sosteniamo che Dio conosce tutte le cose prima che avvengano e che noi facciamo con la nostra volontà tutte le azioni che abbiamo coscienza e conoscenza di fare soltanto perché lo vogliamo. Non affermiamo che tutti gli eventi si verifichino fatalmente, anzi affermiamo che nessuno di essi si verifica fatalmente. Sosteniamo appunto che il concetto di fato, come si considera nel linguaggio usuale, cioè attraverso la combinazione degli astri nel concepimento e nascita degli individui, viene affermato senza alcuna prova ed è quindi insignificante. Non neghiamo però la serie delle cause, sulla quale l’azione di Dio è determinante e non la chiamiamo fato,… Non è consequenziale che se per Dio è determinata la serie delle cause, per noi ne derivi la negazione del libero arbitrio della volontà. Anche la nostra volontà rientra nella serie delle cause che per Dio è determinata ed è compresa nella sua prescienza perché anche la volontà umana è causa di azioni umane. Così egli che ha avuto prescienza delle cause di tutti gli avvenimenti non ha potuto certamente non conoscere in quelle cause anche la nostra volontà di cui sapeva per prescienza che sarebbe stata causa delle nostre azioni….4. Se ne conclude che le cause efficienti di tutti i fenomeni non sono che volontarie, cioè di quell’essere che è spirito di vita. Anche l’aria o vento è detto spirito, ma poiché è corpo non è spirito di vita. Lo spirito di vita che vivifica tutto ed è creatore dell’universo corporeo e dell’universo spirituale creato è Dio, cioè lo spirito non creato. Nel suo volere è il sommo influsso causale, perché esso aiuta le volontà buone degli spiriti creati, giudica le cattive, le ordina tutte e ad alcune concede gli influssi causali, ad altre no. Come è creatore di tutte le nature, così è datore di tutti gli influssi causali ma non di tutti i voleri. Il volere cattivo infatti non è da lui perché è contro la natura che è da lui. I corpi quindi sono maggiormente soggetti alla volontà, alcuni alla nostra, cioè di tutti i viventi mortali e maggiormente degli uomini che delle bestie, alcuni alla volontà degli angeli, ma tutti sono principalmente soggetti alla volontà di Dio, alla quale sono soggette anche tutte le volontà, perché hanno soltanto l’influsso causale che egli concede. Dio è dunque causa efficiente e non fatta delle cose, le altre cause invece sono efficienti e fatte, come tutti gli spiriti creati e soprattutto quelli ragionevoli. Le cause corporee che sono più fatte che efficienti non sono da considerare fra le cause efficienti, perché influiscono soltanto sulla cosa che la volontà degli spiriti da esse produce.
309. (De gen. ad litt. XI 9,12). Perché, allo stesso modo che prevedeva il male che avrebbero commesso, così prevedeva anche qual bene avrebbe ricavato dalle loro cattive azioni. Egli infatti li creò formandoli sì da lasciar loro la facoltà di compiere anch’essi qualcosa per cui, qualunque cosa avessero scelto anche in modo colpevole, avrebbero potuto costatare che l’azione di Dio nei loro riguardi era degna di lode.
310. (Enchir. 95). Allora non sarà piú nascosto ciò che ora è nascosto,… e perché poi presso alcuni non si siano compiuti quei prodigi che, se presenti, li avrebbero posti in condizione di fare penitenza, mentre si sono compiuti fra coloro che non avrebbero creduto. Chiarissime sono infatti le parole del Signore: Guai a te, Corazin, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidone fossero stati compiuti i prodigi che sono stati fatti in mezzo a voi, già da tempo avrebbero fatto penitenza nel cilicio e nella cenere 231.
311. (De dono pers, 11,25). Anche nel caso degli adulti che previde avrebbero creduto ai suoi miracoli, se fossero stati fatti presso di loro, Egli non aiuta quelli che non vuole; su questi ultimi nella sua predestinazione giudicò altrimenti, in maniera occulta certo, ma giusta.
312. (De corr. et gr. 8,19). il nostro problema riguarda coloro che non hanno la perseveranza nella bontà, ma muoiono proprio quando la loro volontà buona passa dal bene al male. Rispondano, se possono: perché Dio non li ha strappati dai pericoli di questa vita allora, quando vivevano con fede e pietà, affinché la malizia non mutasse la loro mente e la frode non traesse in errore le loro anime 63 ? Forse ciò non era in suo potere o ignorava i loro futuri peccati? Assolutamente nessuna delle due ipotesi può essere avanzata se non a costo della massima perversità e follia.
313. (De dono pers. 9,23). Dunque è falso che i morti vengono giudicati secondo ciò che avrebbero compiuto se il Vangelo fosse pervenuto fino a loro da vivi. E se ciò è falso, non c’è motivo di sostenere riguardo ai bambini che vanno in perdizione morendo senza battesimo, che questo per essi avviene meritatamente, perché Dio aveva prescienza che se essi fossero vissuti e fosse stato loro predicato il Vangelo, non avrebbero prestato fede. Non c’è altra soluzione: essi restano vincolati al peccato originale, e per questo solo incorrono nella condanna;… Perché nessun morto viene giudicato dalle azioni buone o cattive che avrebbe compiuto se non fosse morto; altrimenti gli abitanti di Tiro e di Sidone non espierebbero la loro pena in base a quello che compirono, ma piuttosto, in virtù di quello che avrebbero compiuto se presso di loro si fossero prodotti quei prodigi evangelici, attraverso una grande penitenza e la fede in Cristo avrebbero ottenuto la salvezza.
314. (De div. quaest. 83 q.60). Allo stesso modo quando si dice che non sa, significa o che disapprova, cioè non lo riconosce nei suoi precetti e insegnamenti, come sta scritto: Non vi conosco 111; o che ritiene utile ignorare ciò che è inutile sapere. Pertanto l’esatta interpretazione delle parole: Solo il Padre sa? vuol dire che lo fa sapere al Figlio; e neppure il Figlio sa, vuol dire che lascia gli uomini nell’ignoranza, perché non giova loro sapere ciò che è inutile.
CAPITOLO V
Come la libertà umana si concilia con la prescienza di Dio.
SOMMARIO. Non si dovrebbe parlare di prescienza di Dio, propriamente parlando, poiché tutte le cose Gli sono già presenti: 315. Oggetto della predestinazione e della prescienza: 316. La prescienza di Dio e il libero arbitrio. La questione è posta da Evodio. Agostino risponde in diversi modi: a) Se noi agiamo necessariamente perché Dio previde che l’avremmo fatto, Dio che prevede quello che farà, Egli agirà necessariamente. B) Come la prescienza di Dio della nostra beatitudine non ci obbliga ad essere beati controvoglia, così anche la prescienza della nostra volontà colpevole non obbliga la volontà ad agire necessariamente. C) Dio conosce prima la nostra volontà, quindi c’è. Ma la volontà non rimane nella prescienza di Dio se non è libera. D) Come la nostra prescienza non costringe l’uomo a peccare, così nemmeno la prescienza di Dio. e) Agostino illustra questo con la memoria del passato: 317-322. Dio non costringe nessuno a peccare: 323.
315. (De div. quaest. ad Simpl. II q.2,2). Cos’è infatti la prescienza se non la conoscenza del futuro? Ora c’è qualche futuro per Dio che trascende tutti i tempi? Se la conoscenza di Dio abbraccia tutte le cose, esse per lui non sono future ma presenti; ne deriva che non si può parlare tanto di prescienza quanto di scienza.
316. (De praed. sanct. 10,19). indica la predestinazione, che non può esistere senza la prescienza; invece la prescienza può esistere senza predestinazione. Per la predestinazione Dio seppe in precedenza le cose che Egli avrebbe fatto;… Ma Egli ha potere di sapere in precedenza anche quelle cose che non compie egli stesso, come ogni sorta di peccato.
317. (De lib. arb. III 2,4). Stando così le cose, mi turba in modo indicibile il problema della compossibilità che Dio abbia la prescienza di tutti i futuri e che noi non pecchiamo per necessità. Chi dicesse che può verificarsi un evento senza che Dio ne abbia prescienza, tenta con folle empietà di demolire la prescienza di Dio. Pertanto Dio ha avuto prescienza che il primo uomo avrebbe peccato. Me lo deve necessariamente concedere chiunque ammette con me che Dio ha prescienza di tutti i futuri. Se dunque è così, non dico che non creerebbe l’uomo dal momento che lo ha creato buono. Così pure non potrebbe nuocere a Dio il peccato di chi ha creato buono. Che anzi se aveva mostrato la sua bontà nel crearlo, mostra la sua giustizia nel punirlo, la sua misericordia nel liberarlo. Non dico dunque che non lo creerebbe, ma dico che dal momento che aveva avuto prescienza del suo peccato, era necessario avvenisse ciò di cui aveva prescienza che sarebbe avvenuto. Quindi come può esser libera la volontà dove si verifica una tanto ineluttabile necessità?
318. (ib III 2,5; 3,6). Tu che, ne son certo, hai già questa convinzione, osserva con quanta facilità posso rispondere su un problema tanto importante, quando tu per primo avrai risposto un po’ alle mie domande….A. – Dunque, secondo te, tutti gli avvenimenti, di cui Dio è presciente, non avvengono per volontà ma per necessità?
E. Sì, proprio.
A. – Svegliati finalmente, rifletti un po’ su te stesso e dimmi, se ti è possibile, quale volontà avrai domani, di peccare o di agire rettamente?
E. – Non lo so.
A. – E pensi che neanche Dio lo sappia?
E. – Non potrei pensarlo proprio.
A. – Se dunque conosce la tua volontà di domani ed ha prescienza dei voleri futuri di tutti gli uomini che sono e che saranno, a più forte ragione ha prescienza di come agirà con i giusti e gli empi.
E. – Certamente, se affermo che Dio è presciente delle mie azioni, con molto maggior sicurezza posso dire che è presciente delle proprie e che prevederà con assoluta certezza ciò che farà.
A. – E allora non ti preoccupi della obiezione che egli farà tutto ciò che farà non per volontà ma per necessità, se tutto ciò di cui Dio è presciente avviene per necessità e non per volontà?
319. (ib. III 3,7). A. – Ma, scusa, tu non sei una sua creatura o la tua felicità non avverrà in te?
E. – Certo, sono sua creatura e in me avverrà che sarò felice.
A. – Dunque non per volontà ma per necessità avverrà in te con l’azione di Dio la felicità.
E. – La sua volontà per me è necessità.
A. – Dunque sarai felice contro la tua volontà….Dunque Dio è presciente della futura tua felicità e può verificarsi soltanto l’evento, di cui egli è presciente, altrimenti non sarebbe prescienza. Tuttavia non siamo per questo fatto condizionati a pensare che diverrai felice senza volerlo. Sarebbe proprio assurdo e lontano dalla verità. Come poi la prescienza di Dio, che anche oggi è certa della tua futura felicità, non ti toglie il volere della felicità, così ugualmente un volere colpevole, se qualcuno in futuro si verificherà in te, è ugualmente volere, anche se Dio è stato presciente che si sarebbe verificato.
320. (ib. III 3,8). Pensa, ti prego, con quanta cecità si dica: ” Se Dio ha avuto prescienza di un futuro mio volere, è ineluttabile che io voglia ciò di cui, ha avuto prescienza perché non può avvenire se non quello di cui ha avuto prescienza. Se dunque è ineluttabile, si deve ammettere che io lo voglio non per volontà ma per necessità “. O singolare stoltezza! Come dunque è possibile che avvenga soltanto l’evento, di cui Dio ha avuto prescienza, se non si dà il volere che egli ha preveduto avvenisse?… E se è assurdo che non vogliamo quando vogliamo, è evidentemente presente in chi vuole la volontà ed è in potere soltanto l’atto che è presente in chi vuole. Dunque la nostra volontà non sarebbe volontà se non fosse in nostro potere. Effettivamente perché è in nostro potere, è per noi libera. Non è appunto per noi libero ciò che non abbiamo in nostro potere e non può non esserlo ciò che abbiamo in potere. Conseguentemente noi non possiamo negare che Dio è presciente di tutti i futuri e tuttavia che noi vogliamo ciò che vogliamo. Se egli è presciente di un atto del nostro volere, esso sarà quello di cui è presciente. Sarà dunque un atto del volere perché di un atto del volere è presciente. Tuttavia non sarebbe atto del volere se non fosse in potere. Quindi è presciente anche del potere. Dunque non mi si sottrae il potere a causa della sua prescienza, anzi esso sarà più sicuro perché egli, la cui prescienza non s’inganna, ha avuto prescienza che l’avrò.
321. (ib. III 4,10). A. – Per quale motivo ti sembra che il nostro libero arbitrio sia opposto alla prescienza di Dio? Perché è prescienza ovvero perché è prescienza di Dio?
E. – Perché è di Dio piuttosto.
A. – Dunque se tu avessi prescienza che un tizio peccherà, non sarebbe necessario che pecchi?
E. – Anzi sarebbe necessario che pecchi. La mia non sarebbe prescienza se non avessi prescienza di eventi certi.
A. – Dunque non perché è prescienza di Dio, è necessario che avvengano gli eventi, di cui è presciente, ma perché è prescienza e tale non sarebbe se non preconosce eventi certi.
E. – D’accordo; ma a che scopo questo discorso?
A. – Perché, salvo errore, tu non costringeresti ineluttabilmente a peccare quel tizio, del quale prevedi che peccherà e la tua prescienza non lo costringe a peccare, sebbene senza dubbio peccherà. Altrimenti non avresti prescienza che peccherà. Come dunque non sono opposti questi due termini, che tu per tua prescienza sai ciò che un altro compirà con la propria volontà, così Dio, sebbene non costringe nessuno a peccare, prevede però coloro che per propria volontà peccheranno.
322. (ib. III 4,11). Come tu infatti con la tua memoria non determini che si siano avverati gli avvenimenti passati, così Dio con la sua prescienza non determina che si debbano avverare gli eventi futuri. E come tu ricordi alcune azioni che hai compiute e tuttavia non tutte le cose che ricordi sono azioni che hai compiute, così Dio ha prescienza di tutte le cose, di cui è autore, ma non è autore di tutte le cose, di cui ha prescienza. È poi giusto punitore di tutte le azioni, di cui non è ingiusto autore.
323. (In Io. ev. tr. 53,4). Per il fatto che Dio conosce i peccati futuri degli uomini, non costringe nessuno a peccare. Egli conosceva già, non i suoi, ma i loro peccati; non quelli d’altri, ma i loro. Infatti, se i peccati che egli previde commessi da loro non fossero stati effettivamente commessi da loro, Dio non avrebbe previsto conforme a verità. Ma siccome la sua prescienza non può cadere in errore, coloro che peccano sono proprio quelli che Dio conosceva che avrebbero peccato, non altri. Se dunque i Giudei caddero in peccato, non fu certo perché ve li spinse colui che aborre il peccato: Dio predisse che avrebbero peccato poiché a lui niente è nascosto.
CAPITOLO VI
La volontà onnipotente di Dio.
SOMMARIO. Perché Dio viene chiamato onnipotente. La volontà di Dio è Dio stesso, perciò eterna e immutabile: 324-327. Dio onnipotente non può fare molte cose, proprio perché onnipotente. E ciò non per difetto, ma per potenza: 328-331. La volontà onnipotente di Dio non viene vinta per il fatto che i malvagi agiscano contro la sua volontà. La volontà dell’onnipotente si compie anche quando dalle opere malvagie degli uomini, Dio ricava il bene: 332-338.
324. (De civ. Dei XXI 7,1). Egli certamente è considerato onnipotente per l’unica ragione che può ciò che vuole
325. (Enchir. 95). Insomma non accade nulla che non sia l’Onnipotente a volerlo, o permettendo che accade, o compiendolo Egli stesso.
326. (Conf. VII 4). Né puoi essere costretto ad azioni involontarie, perché la tua volontà non è maggiore della tua potenza: sarebbe maggiore solo se tu stesso fossi maggiore di te stesso, essendo la volontà e la potenza di Dio lo stesso Dio.
327. (ib. XII 15,18). Oserete affermare la falsità di quanto mi suggerisce la verità con voce forte al mio orecchio interiore, riguardo alla vera eternità del creatore, cioè l’assoluta immutabilità della sua sostanza nel tempo e l’unità intrinseca della sua volontà con la sua sostanza, per cui egli non vuole ora una cosa, ora un’altra, ma in una volta sola, tutte insieme e per sempre vuole tutte le cose che vuole? Non vuole di volta in volta, né ora una cosa, ora un’altra; non vuole più tardi ciò che non voleva, né disvuole ciò che prima voleva, perché si comporta così una volontà mutevole, e il mutevole non è mai eterno, mentre il nostro Dio è eterno 48.
328. (Serm. 398; De simb. ad catecum. I,2). Dio è onnipotente. Essendo tale, non può morire, non può ingannarsi, non può mentire,… Quante cose non può fare pur essendo onnipotente, anzi proprio perché non le può fare è onnipotente! Infatti se potesse morire, non sarebbe onnipotente; così se potesse mentire, ingannarsi, ingannare, agire ingiustamente, non sarebbe onnipotente; se tali possibilità ci fossero in lui, ciò non corrisponderebbe alla onnipotenza….Fa qualunque cosa voglia di bene, di giusto; una cosa che sia male a farsi non la vuole. Nessuno resiste all’Onnipotente così da non fare quello che egli vuole.
329. (Serm. 213;Serm. 213,1). . Guelf. 1,2). Credo in Dio Padre onnipotente….onnipotente nel fare le cose spirituali e quelle materiali, onnipotente nel fare le cose visibili e quelle invisibili, grande nelle cose grandi e non piccolo nelle cose piccole; insomma onnipotente nel fare tutto ciò che ha voluto fare. Ti dico io quel che non può: non può morire, non può peccare, non può mentire, non può sbagliare; tutto questo non lo può; se lo potesse non sarebbe onnipotente.
330. (Serm. 213,1). onnipotente nel fare le cose grandi e le cose piccole,… grande nelle cose grandi e non piccolo nelle cose piccole;
331. (C. serm. Arian. 14). Infatti il Figlio potrebbe fare quello che non ha visto fare dal Padre, se potesse fare ciò che il Padre non fa per mezzo di lui; cioè se potesse peccare e non essere conforme a una natura immutabilmente buona, che è stata generata dal Padre. Poiché questo non è possibile, non può farlo non per imperfezione, ma per potenza.
332. (C. adv. leg. et proh. I 15,23). Che Dio sia sempre invincibile60 lo dimostra anche l’uomo vinto, perché non sarebbe stato vinto se non si fosse allontanato dall’invincibile.
333. (De civ. Dei XXII 2.1). Molte azioni certamente sono compiute dai cattivi contro la volontà di Dio, ma Egli è di tanta sapienza e potere che tutti gli avvenimenti, che sembrano contrari alla sua volontà, tendono a quegli scopi e fini che Egli ha previsto come buoni e giusti. Perciò quando si dice che Dio ha mutato la volontà, sicché, ad esempio, si rende sdegnato verso coloro con i quali era indulgente, sono essi che sono cambiati, non lui, e in un certo senso lo trovano mutato nelle avversità che subiscono. Allo stesso modo cambia il sole per gli occhi contusi e in qualche modo si rende da blando irritante, da dilettevole sgradito, sebbene in sé rimanga quel che era. Si considera volontà di Dio anche quella che Egli pone in atto nel cuore di coloro che obbediscono ai suoi comandamenti, e di essa dice l’Apostolo: È Dio che opera in voi anche il volere 2,… Secondo questa volontà, che Dio opera negli uomini, si dice che Egli vuole non ciò che vuole ma ciò di cui rende volenti i suoi, come si considera che Egli ha conosciuto ciò che ha fatto conoscere da coloro da cui era ignorato. Infatti dalle parole dell’Apostolo: Ora poi conoscendo Dio, anzi essendo conosciuti da Dio 6, non è consentito dedurre che Dio abbia conosciuto allora quelli che erano conosciuti prima della creazione del mondo 7, ma è stato detto che li ha conosciuti quando ha fatto sì che fosse conosciuto. Ricordo di aver discusso di questi modi di parlare nei libri precedenti 8. Dunque secondo questa volontà, per cui noi diciamo che Dio vuole quello che fa in modo che vogliano coloro che ignorano il futuro, Dio vuole molte cose ma non le attua.
334. (Serm. 214,3). E i malvagi non pensino che Dio non è onnipotente per il fatto che riescono a far molte cose contro la sua volontà. Perché nel mentre fanno ciò che egli non vuole, è lui che farà con essi ciò che vuole. In nessun modo essi mutano o superano la volontà dell’Onnipotente. Che uno venga condannato per giustizia o salvato per misericordia, è sempre la volontà dell’Onnipotente che prevale. Soltanto quel che non vuole l’Onnipotente non può. Egli dunque si serve dei cattivi non in ragione della loro malvagità, ma secondo la sua retta volontà. Cioè come i cattivi si servono (per fare il male) della loro natura buona, cioè di un’opera buona di Dio, così egli, che è buono, si serve per il bene anche delle loro azioni cattive, e così la volontà dell’Onnipotente non è mai superata in nessun senso….Certo egli, nella sua prescienza, non poteva ignorare che essi sarebbero stati cattivi; ma come conosceva quali mali essi avrebbero compiuto, così conosceva anche quali beni per mezzo loro avrebbe operato….Eppure tutto questo bene si è realizzato per la malizia del diavolo, per la malizia dei Giudei, per la malizia di Giuda il traditore. Ed è giusto che non sia attribuito a loro il bene che Dio (e non essi) ha apportato agli uomini servendosi di loro; ad essi è giusto che venga inflitto il supplizio, perché ebbero la volontà di nuocere. E come abbiamo potuto trovar qualcosa in cui anche per noi diventa chiaro come Dio si sia servito in bene (per la nostra redenzione e salvezza), delle cattive azioni del diavolo, dei Giudei e di Giuda il traditore, così negli anfratti occulti e misteriosi di tutta la creazione, che noi non possiamo scandagliare con l’acume né degli occhi né della mente, Dio sa come servirsi in bene anche dei cattivi; e così in tutto ciò che si verifica o viene causato nel mondo, la volontà dell’Onnipotente sempre si adempie.
335. (Enchir. 100). Queste sono le grandi opere del Signore, conformi a tutte le sue volontà 250, e cosí sapientemente conformi, che, nonostante il peccato della creatura, angelica e umana, cioè nonostante questa abbia voluto fare non la volontà di Dio, ma la propria, persino attraverso la medesima volontà della creatura, che ha agito contro la volontà del Creatore, questi ha portato a compimento quel che ha voluto, usando bene anche dei mali, in quanto sommamente buono, in vista della condanna di quanti giustamente predestinò alla pena, e in vista della salvezza di quanti amorevolmente predestinò alla grazia. Per quanto attiene a loro, essi agirono contro la volontà di Dio; per quanto invece attiene all’onnipotenza di Dio, non furono minimamente capaci di riuscirvi. Anzi, proprio in quanto agirono contro la sua volontà, questa si è realizzata in loro. Difatti grandi sono le opere del Signore, conformi a tutte le sue volontà, cosicché anche quanto accade contro la sua volontà, in modo inspiegabile e sorprendente non prescinde mai dalla sua volontà; del resto, ciò non accadrebbe se Egli non lo permettesse ed è evidente che Egli lo permette volontariamente, non involontariamente, né Egli, nella sua bontà, permetterebbe l’accadere del male, se non fosse capace, nella sua onnipotenza, di ricavare il bene anche dal male.
336. (ib. 101). Qualche volta poi è una volontà buona che porta l’uomo a volere qualcosa che Dio non vuole, anche se la sua buona volontà è ben piú grande e certa (non può infatti mai essere cattiva); è il caso in cui un figlio buono vuole che il padre viva, mentre Dio, nella sua buona volontà, vuole che muoia. Può accadere al contrario che una volontà cattiva porti un uomo a volere quel che la volontà buona di Dio vuole, come quando un figlio cattivo vuole la morte del padre, che vuole anche Dio. La volontà del primo è dunque contraria alla volontà divina, mentre quella del secondo vuole la medesima cosa; eppure ad esser in sintonia con la volontà buona di Dio è la pietà del primo, benché voglia una cosa diversa, piuttosto che l’empietà del secondo, che vuole la medesima cosa. Ciò che importa è quale volontà sia confacente all’uomo e a Dio, e quale sia il fine che orienta la volontà di ciascuno, perché possa ricevere approvazione o disapprovazione. Dio infatti porta a compimento alcune volontà sue, sicuramente buone, per mezzo delle volontà cattive di uomini cattivi: cosí Cristo è stato ucciso per noi per mezzo di Giudei malvagi secondo la volontà buona del Padre, ed è stato un bene cosí grande, che l’apostolo Pietro, che non accettava che ciò accadesse, è stato chiamato ” Satana ” da colui che era venuto per essere ucciso251. Quanto sembravano buone le volontà di devoti credenti, che non volevano che l’apostolo Paolo prendesse la strada di Gerusalemme, perché là non dovesse soffrire i mali che il profeta Agabo aveva predetto 252? Eppure Dio voleva che per annunziare la fede di Cristo egli soffrisse quelle cose, impegnandosi come suo testimone. Egli quindi portò a compimento questa sua volontà buona per mezzo non delle volontà buone dei cristiani, bensí di quelle cattive dei Giudei, ed erano dalla sua parte quanti non volevano quel che egli voleva, anziché quanti resero possibile, con la loro volontà, quel che egli voleva: l’atto fu il medesimo, ma egli lo compí per loro tramite con volontà buona, mentre quelli con volontà cattiva.
337. (ib. 102). In ogni caso, per quanto forti possano essere le volontà degli angeli o degli uomini, buoni o cattivi, favorevoli o contrari a ciò che Dio vuole, la volontà dell’onnipotente è sempre invincibile; essa non può mai essere cattiva, poiché, anche quando infligge dei mali, è giusta e sicuramente, se è giusta, non è cattiva. Dio onnipotente dunque, sia che per misericordia provi misericordia di chi vuole, sia che per il giudizio indurisca chi vuole, non compie alcuna ingiustizia, non compie nulla contro la propria volontà e tutto ciò che vuole, lo compie.
338. (De civ. Dei XIV 11,1). Dio ha avuto prescienza di tutti gli eventi e quindi non ha potuto ignorare che l’uomo avrebbe peccato. Perciò dobbiamo farci un’idea della città santa sulla base della sua prescienza e ordinamento e non secondo una ipotesi di cui era impossibile avere conoscenza perché non rientrava nell’ordinamento di Dio. È impossibile anche che l’uomo col suo peccato abbia sconvolto il disegno divino come se avesse costretto Dio a mutare ciò che aveva stabilito. Dio con la sua prescienza aveva previsto l’uno e l’altro, cioè: l’uomo, che egli aveva creato buono, sarebbe diventato cattivo e il bene che egli avrebbe ottenuto da lui anche in quella condizione.
CAPITOLO VII
La provvidenza divina.
SOMMARIO. Tutte le cose che Dio ha creato, le amministra, le governa, le sostiene. Anche le parti più vili e umili del mondo. L’efficacia di Dio onnipotente è la ragione del mantenimento in essere delle cose che ha creato. Come Dio dispone ordinatamente tutte le cose: 339-346. Lo scandalo della felicità dei malvagi. I malvagi di cuore ricevono da Dio tre giudizi: o Dio non c’è, o è ingiusto, o non governa le cose umane. Agostino risponde in diversi modi all’obiezione sulla felicità dei malvagi e dei mali fisici con cui sono afflitti anche i buoni: 347-352. Anche in ciò che il peccatore patisce quello che non vuole, le disposizioni di Dio vengono lodate: 353.
339. (De gen. ad litt. IV 12,22). Si potrebbe anche pensare che Dio si riposò dal creare altre specie di creature poiché in seguito non creò più nuove specie, ma da allora egli opera fino al presente e continuerà anche dopo a operare governando le medesime specie di esseri che furono create allora; nondimeno neppure in quello stesso settimo giorno Dio cessò di governare con la sua potenza il cielo, la terra e tutti gli altri esseri ch’egli aveva creato, altrimenti sarebbero caduti nel nulla. In effetti la potenza del Creatore e l’energia dell’Onnipotente e dell’Onnipresente è la causa per cui sussiste ogni creatura; se questa energia cessasse un sol momento di governare gli esseri creati, finirebbe allo stesso tempo anche la loro essenza,e ogni natura cadrebbe nel nulla. Poiché Dio non è come un costruttore che, dopo aver costruito un edificio, se ne va, ma la sua opera sussiste anche quando egli cessa di agire e se ne va; il mondo invece non potrebbe continuare a esistere neppure un batter d’occhio se Dio gli sottraesse la sua azione reggitrice.
340. (ib IV 12,23). Inoltre quando la Scrittura dice riguardo alla Sapienza di Dio: Si estende da un confine all’altro con forza e governa con bontà ogni cosa 19,… appare assai evidente, a chi bene osserva, ch’essa comunica questo medesimo suo movimento, incomparabile e ineffabile – che potremmo chiamare stabile se potessimo concepire un simile attributo – alle cose per disporle con bontà; se però questo movimento venisse loro sottratto, se cioè Dio cessasse di esercitare questa sua azione, le cose scomparirebbero immediatamente.
341. (De civ. Dei XII 5). Tutti gli esseri dunque, per il fatto che sono ed hanno perciò la propria misura, la propria forma e una determinata pace con se stessi, sono certamente buoni. Essendo inoltre dove devono essere secondo la finalità della natura, conservano il proprio essere nelle proporzioni in cui lo hanno ricevuto. E poiché non hanno ricevuto di essere per sempre, acquistano e perdono perfezioni, secondo l’esigenza e il movimento delle realtà, alle quali per legge del Creatore sono soggetti, perché per divina provvidenza tendono a quel risultato che il razionale ordinamento dell’universo implica. Inoltre il dissolvimento, che conduce alla fine gli esseri divenienti e mortali, non è tale che mentre fa cessare d’esistere ciò che era, implichi necessariamente come conseguenza, che non venga all’esistenza ciò che doveva cominciare ad esistere.
342. (De gen. ad litt. VIII 26,48). Stando così le cose, Dio onnipotente e mantenente tutto, che è sempre lo stesso nella sua immutabile eternità, verità e volontà, senza muoversi attraverso il tempo e lo spazio, muove le sue creature spirituali attraverso il tempo e muove anche le creature corporali attraverso il tempo e lo spazio. Per conseguenza, grazie a questo movimento di esseri da lui costituiti, con la sua azione intrinseca, li governa altresì con la sua azione estrinseca, sia mediante le volontà che gli sono soggette e da lui mosse attraverso il tempo, sia mediante i corpi soggetti a lui e a quelle volontà, e da lui mossi attraverso il tempo e lo spazio ma nel tempo e nello spazio, la cui ragione causale è vita in Dio stesso di là dai limiti di tempo e di spazio. Allorché dunque Dio interviene così con la sua azione, non dobbiamo pensare che la sua sostanza, per la quale egli è Dio, sia mutevole attraverso il tempo e lo spazio, ma dobbiamo riconoscere queste cose come opere della divina Provvidenza e non come risultato dell’attività con cui egli crea gli esseri, ma dell’attività con cui governa, mediante il suo intervento estrinseco, gli esseri creati da lui intrinsecamente. Poiché grazie alla sua immutabile e trascendente potenza non limitata per nulla quanto a distanza ed estensione spaziale, egli è allo stesso tempo interiore a tutte le cose, poiché sono tutte in lui, ed esteriore a tutte le cose poiché è al di sopra di ogni cosa. Così pure, senza alcun intervallo o spazio di tempi, a causa della sua eternità, è allo stesso tempo più antico di tutte le cose in quanto è l’Essere più antico di tutte le cose, ed è più nuovo di tutte le cose in quanto è sempre il medesimo dopo tutte le cose.
343. (De civ. Dei V 11). Dunque il Dio sommo e vero con il Verbo e con lo Spirito Santo, che sono una sola essenza in tre persone, è un solo Dio onnipotente, creatore e fattore dell’universo spirituale e sensibile. Partecipando di lui sono felici tutti gli esseri che sono felici nella verità e non nella menzogna. Egli ha creato l’uomo come animale ragionevole composto di anima e di corpo e non ha permesso che dopo il peccato rimanesse impunito ma non lo ha privato della sua misericordia. Ha concesso ai buoni e ai cattivi l’essere comune con le pietre, la vita del seme comune con gli alberi, la vita del senso comune con le bestie, la vita dell’intelligenza comune con i soli angeli. Da lui sono ogni misura, ogni bellezza, ogni ordine, la proporzione, il numero e il peso. Da lui è ogni essere secondo la propria natura, di qualsiasi genere, di qualsiasi valore. Da lui sono i semi delle forme e le forme dei semi e il divenire dei semi e delle forme. Anche alla carne egli ha dato l’origine, la bellezza, il vigore, la fecondità per la propagazione, la struttura delle membra, il benessere organico. Anche all’anima irragionevole ha dato la memoria, il senso e l’appetito e a quella ragionevole la mente, l’intelligenza e la volontà. Egli non ha lasciato senza l’armonia e quasi la pace delle parti non solo il cielo e la terra, l’angelo e l’uomo, ma anche l’interno di un piccolo e insignificante animale, la piuma di un uccello, il fiore dell’erba, la foglia dell’albero. Quindi non si deve assolutamente pensare che abbia voluto rendere estranei alle leggi dellasua provvidenza i regni umani, i loro domini e soggezioni.
344. (Conf. III 11,19). o bontà onnipotente, che ti prendi cura di ciascuno di noi come se avessi solo lui da curare, e di tutti come di ciascuno?
345. (De gen, ad litt. V 21,42). Noi inoltre non dobbiamo ascoltare coloro, i quali pensano che dalla divina provvidenza sono governate solo le regioni più alte del mondo, quelle cioè che sono al margine esterno e al di sopra della nostra atmosfera più densa, ma che la parte più bassa che è la terra e il mare, come pure quella dell’atmosfera terrestre più vicina, che s’impregna d’umidità a causa delle esalazioni terrestri e marine – in cui si formano i venti e le nubi – sia piuttosto il gioco del caso e agitata da moti fortuiti….Che dire dunque? Il Salvatore non ha forse detto di propria bocca che non cade in terra nemmeno un passero senza il permesso di Dio 53 e che Dio riveste tuttavia l’erba dei campi sebbene destinata poco dopo ad essere gettata nel forno 54? Dicendo così, nostro Signore non ci assicura forse che non solo tutta questa parte del mondo assegnata agli esseri mortali e corruttibili ma anche le particelle più spregevoli e umili sono governate dalla divina provvidenza?
346. (ib. III 10,14). Ecco perché nel Salmo (148) succitato, dopo aver enumerato il fuoco, la grandine, la neve, il ghiaccio, il vento delle bufere 13, perché non si pensasse che quei fenomeni avvengano o siano eccitati senza l’intervento della divina provvidenza, il Salmista soggiunge immediatamente: che ubbidite al suono della sua parola 14.
347. (Serm. 19,4). Come puoi, o servo, cercare la felicità quaggiù, dove anche per il Signore la fine è la morte?… Io onoro Dio, essi lo bestemmiano; essi però hanno la prosperità, io le sventure. È giustizia questa?… E allora, o carissimi, se voi la possedete [la felicità], imparate a non farci conto e a non dire nei vostri cuori: “È perché onoro Dio che le cose mi vanno bene”….Sei tu felice? Non tirare la conclusione da questo che tu sei buono, ma per questo renditi buono. Non sei felice? Non tirare la conclusione da questo che tu sei malvagio; però fuggi il male, a causa del quale non viene colui che è il buono.
348. (En. in Ps. 31 II,25). Dunque, o non c’è Dio (così dice l’empio che non sopporta che qualcosa gli accada all’infuori della sua volontà, mentre non accade ad altri cui si ritiene superiore); oppure: è ingiusto Dio, cui piacciono queste cose e che fa queste cose; oppure: Dio non governa le cose umane, e non si prende affatto cura di esse. Grande è l’empietà di queste tre dottrine, sia negare Dio, sia affermarlo ingiusto, sia togliere a Lui il governo del creato. Perché si dice questo? Perché si è distorto il cuore. Retto è Dio, e perciò il cuore distorto non trova pace in Lui…A quel modo che un legno distorto, anche se lo collochi sul pavimento liscio, non si adagia, non aderisce, non si congiunge, ma sempre si muove e traballa – e non perché è disuguale il luogo dove l’hai posato, ma perché è distorto ciò che vi hai posto – così anche il tuo cuore, finché è perverso e distorto, non può allinearsi con la rettitudine di Dio e non può trovar posto in Dio tanto da aderire a Lui…Ma considera il cuore retto: non però ciò che io voglio, ma ciò che tu vuoi, Padre
349. (Serm. 48,8). Ti prego, permettimi che ti chieda: Tu perché te la passi male? Mi risponderai: Mi affligge la povertà, mi angustiano le strettezze o forse il dolore di un qualche membro o il timore del nemico. E ti troveresti tu nel male perché hai da soffrire qualche molestia, mentre starebbe bene colui che è lui stesso cattivo? Gran differenza intercorre fra il patire il male e l’essere cattivo! Tu non sei quel che hai da sopportare: sopporti infatti il male senza essere tu stesso cattivo…. L’altro viceversa non subisce del male ma è [lui stesso] cattivo. Orbene, non lasciarti ingannare, non lasciarti ingannare!… Per il fatto di essere cattivo, credi tu forse che egli non abbia da sopportare il male, dovendo sopportare se stesso?… Tu credi di star male perché hai una brutta villa; e starà bene colui che ha una cattiva anima?
350. (De civ. Dei I 8,2). È ordinamento infatti della divina provvidenza preparare per il futuro ai giusti dei beni, di cui non godranno gli ingiusti, e ai miscredenti dei mali, con cui non saranno puniti i buoni.
351. (De Trun. XIII 16,20). Questi mali, piamente sopportati, servono ai fedeli per correggersi dei loro peccati, o a esercitare e mettere alla prova la loro giustizia, a mostrare loro la miseria di questa vita, affinché desiderino più ardentemente e cerchino più insistentemente quella vita dove ci sarà la beatitudine vera ed eterna.
352. (De civ. Dei I 8,2). Inoltre differisce molto la condizione tanto di quella che si considera prosperità come di quella che si considera avversità. L’individuo onesto non si inorgoglisce dei beni e non si abbatte per i mali temporali; il cattivo invece è punito dalla sorte sfavorevole appunto perché abusa della favorevole. Tuttavia Dio manifesta abbastanza chiaramente la sua opera spesso anche nel dispensare tali cose. Se una pena palese colpisse ogni peccato nel tempo, si potrebbe pensare che nulla è riservato all’ultimo giudizio. Se al contrario un palese intervento di Dio non punisse nel tempo alcun peccato, si potrebbe pensare che non esiste la divina provvidenza. Lo stesso è per la prosperità. Se Dio non la concedesse con evidente munificenza ad alcuni che la chiedono, diremmo che queste cose non sono di sua competenza. Allo stesso modo se la concedesse a tutti quelli che la chiedono, supporremmo che si deve servirlo soltanto in vista di tali ricompense. Il servizio a lui non ci renderebbe devoti ma interessati e avari.
353. (Serm. 125,5). Non credere di guastare il progetto di Dio se avrai voluto essere perverso. Chi sapeva crearti non sa il posto che ti spetta? E’ bene allora che il tuo sforzo tenda là, che ti porti ad essere situato in un buon posto. Che fu detto di Giuda da parte dell’apostolo Pietro? Andò al posto da lui scelto 23. Certo per la disposizione della divina provvidenza, perché con decisione della volontà perversa volle essere cattivo, non fu invece Dio a farlo cattivo attraverso il suo ordinamento. Ma essendo di per sé perverso, volle essere peccatore, fece ciò che volle, ma subì ciò che non volle. Nel fatto che fece ciò che volle si riconosce il suo peccato; in quello che subì e che non volle si loda l’azione ordinatrice di Dio.